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Violenza sulle donne, Pischedda: «Garantire diritti e protezione alle vittime»

A seguito del dibattito avvenuto a Milano il 7 novembre 2022, organizzato dal comitato
‘Femminicidio in vita’
La violenza sulle donne è stato l’argomento al centro del Congresso sulle Madri Strappate,
lunedì 7 novembre 2022, presso la Sala Gonfalone di Palazzo del Consiglio della Regione
Lombardia a Milano, organizzato dal comitato ‘Femminicidio in vita’. Non poteva mancare
durante il meeting la discussione sulla legge 54 del 2006, relativa all’affido condiviso e alla
conseguente violenza istituzionale. Sono questioni sociali molto delicate che stanno
caratterizzando la società del XXI secolo. L’urgenza di intervenire diventa fondamentale
per limitare queste violenze. Si deve cominciare proprio dalla cultura mediante
l’organizzazione di dibattiti e convegni, al fine di sollevare una opportuna riflessione. Con
Pieranna Pischedda del Laboratorio del Possibile (https://www.laboratoriodelpossibile.it/)
vogliamo approfondire il tema sciale.
Perché aumentano gli episodi di violenza sulle donne?
«La violenza sulle donne esiste da sempre ma, per motivi culturali e di potere – che si
declinano con l’isolamento sociale, la violenza economica, la violenza psicologica – è
sempre stata vista come “naturale” e “dovuta”. Ciò era dato dallo status sociopolitico della
donna, completamente asservita e dipendente (anche legalmente) all’uomo di turno
(padre, fratello, marito), praticamente padrone della sua vita. I numeri attuali,
paradossalmente, certificano (anche se il sommerso è molto di più) una diversa
consapevolezza che sfocia nella denuncia e questo è positivo. Di riscontro, però,
dobbiamo constatare un’impreparazione della nostra macchina giudiziaria nel contrasto a
questi reati. Siamo detentori di un triste record: le cosiddette “false denunce”. C’è
un’altissima (non credibile) percentuale di archiviazione, poiché la violenza non viene
riconosciuta in quanto tale. Un’anomalia statistica, questa, che stride con il numero
costante (durante il Covid, in aumento) dei femminicidi (a cui si aggiungono i figlicidi) e che
ci mostra tutta l’incapacità della giustizia (e degli operatori coinvolti) di garantire diritti e
protezione alle vittime. La strada è ancora lunga, molto lunga».
Quanto influisce sul contesto storico sociale?
«È uno dei problemi principali. Stiamo parlando di un crimine di tipo “relazionale”
esercitato all’interno di una relazione intima e reiterato quotidianamente per anni, decenni
e, in molti casi, per tutta la vita. L’intimità della relazione induce erroneamente a pensare
e/o a ridurre il tutto come a beghe fra innamorati-coniugi-compagni. La nostra “saggezza
popolare” ci mostra come venivano affrontate queste problematiche in passato (ma anche
ora): “i panni sporchi si lavano in famiglia”, “tra moglie e marito non mettere il dito”, sono
solo due delle paradigmatiche “perle” che ci fanno intendere chiaramente il punto di vista e
la posizione “ufficiale” della Comunità rispetto (ad esempio) agli occhi tumefatti delle mogli.
Soltanto dopo la seconda guerra mondiale, il diritto di voto compresi i diritti ottenuti con le
battaglie femministe (e di una certa parte politica) degli anni 70-80, culminate nella Legge
sul Divorzio, sull’interruzione volontaria della gravidanza e la cancellazione dell’aberrante
“delitto d’onore”, c’è un cambio di passo sostanziale verso l’autonomia e l’indipendenza
(non solo economica) della donna dall’uomo. Il contesto storico-sociale attuale, invece,
con il ritorno di alcune politiche regressive e di limitazione dei diritti e della libertà delle

donne, ci fa capire come la tematica sia sentita e temuta da chi (in entrambi i sessi) non
sia riuscito ancora ad accettare il nuovo ruolo (e la propria perdita di potere) dell’altra metà
del cielo nella società e il loro essere soggetto, a prescindere chi è accanto oppure è
distante. Il costo economico-sanitario-sociale della violenza domestica e di genere è
altissimo, ma praticamente ignorato dall’opinione pubblica».
Dobbiamo affermare che la violenza arriva a colpire, seppure in minoranza, anche
gli uomini. È una nuova modalità sociale del XXI secolo?
«Il fenomeno, abbastanza residuale, esiste. Statisticamente è nelle cose che vi sia una
percentuale di donne che maltrattano uomini e bambini, ma non conosciamo esattamente
le cause. Possiamo ipotizzare, però, che una certa percentuale di questa “popolazione”
(donne maltrattanti e uomini maltrattati) possa appartenere ai minori, vittime di violenza
assistita e violenza diretta diventati adulti. Gli studi ci mostrano che significative
percentuali di questi saranno segnati per sempre dai reati subiti durante la loro infanzia,
mutuando i comportamenti del genitore maltrattante o i comportamenti del maltrattato. Del
danno/trauma subito dai figli di un genitore agente reato di violenza domestica, non si
parla mai abbastanza e – per certi versi – forse per difenderci dai sentimenti che ci
provocherebbe la consapevolezza degli stessi, tendiamo a non “vederli”, ad ignorarli, a
girarci, vigliaccamente, dall’altra parte. In questo modo, con i nostri comportamenti
omertosi assistiamo inermi alla reiterazione del reato, neghiamo l’aiuto necessario alle
vittime e concorriamo alla crescita di future vittime e carnefici. In ultima analisi, serve una
rivoluzione culturale, strumenti educativi diversi e più incisivi e – soprattutto – ridare alla
scuola il suo ruolo primario di agenzia educativa nonché l’autorevolezza che in questi
ultimi venti anni, grazie a scellerate riforme, gli è stata indebitamente tolta. Le difficoltà e –
per certi versi – il fallimento della famiglia, intesa come agenzia educativa è sotto gli occhi
di tutti, per questo vanno intensificati sforzi e politiche volte a supportarla, ma anche
rinnovarla, per combatterne le dinamiche tossiche e pericolose che si tramandano –
spesso – di generazione in generazione».
Francesco Fravolini

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