Il titolo è “Frank” e per la Winehouse diede il via ad una carriera straordinaria ed eccessiva
Vent’anni fa usciva il primo album di Amy Winehouse, la cantautrice britannica che divenne il mito della musica Soul e Blues e che, dopo la morte, entrò nella leggenda. Era il mese di novembre 2003 quando la Winehouse raggiunse grande popolarità tra il pubblico più giovane con l’Lp “Frank”, contenente tredici tracce, tra cui “Stronger than me”, “Take the box” e “Help yourself”. Questo album vinse innumerevoli premi, tra cui il disco di platino, in seguito ai due milioni di copie vendute.
Nel 2004, su una rivista locale, chi vi scrive definì questa cantante, “una fragile tigre, capace di rivoluzionare il Jazz col carisma di chi sale sul palco non per il successo, ma col bisogno di comunicare ciò che ha dentro attraverso la musica”. A distanza di tanti anni, questa considerazione mi sento di confermarla, malgrado allora conoscessi appena le performances di Amy.
Fece parlare molto di sè per i problemi legati alla dipendenza da alcol e da sostanze tossiche, morì nell’estate del 2011 (a 27 anni) proprio per una sofferenza legata ai problemi di salute connessi a tali comportamenti.
Raccontò che il genere che la convinse, fin da bambina, a voler diventare una cantate, fu il Jazz, sullo stile di Sarah Lois Vaughan.
La Winehouse era nata a Londra il 14 settembre 1983, da papà taxista e mamma farmacista; a soli dieci anni crea il suo primo gruppo musicale, gli Sweet ‘n’ sour, prendendo il nome da un tipo di limonata. Parte con il Rap e l’Hip hop, poi, a 16 anni, entra nella National Youth Jazz Orchestra, tappa che le consente di rafforzare le sue già spiccate capacità canore.
Entra nella casa discografica Island Records e, appunto vent’anni fa, esce il suo primo disco.
Artista “maledetta”, fragile e graffinate, sensibile e dal piglio aggressivo, affascina un pubblico sempre più vasto, che vede in lei l’artista capace di esprimere tutto ciò che ha da tirare fuori e che le crea sofferenza. Si definiva molto severa verso se stessa, “sono il mio peggior nemico”, confidò nel 2008.
Prince disse che la Winehouse “è qualcosa di speciale”, per Mick Jagger, “ha una classe unica”, George Michael diceva che “è la migliore voce femminile che abbia mai ascoltato”; Amy regala momenti di struggente bellezza.
L’affermazione definitiva arriva nel 2007 con “Back to black”, interpretata con una forza unica, di quelle che ti tengono inchiodato davanti alla Tv quando la rivedi.
Eh sì, perchè questo brano “ritorno al nero”, lo scrisse in un momento di forte dolore per la fine della relazione con Blake Fielder Civil, dopo un amore burrascoso ed estremo.
Nel 2008 la Winehouse ha un enfisema polmonare, viene ricoverata in una clinica, esce dopo qualche giorno e quaratott’ore dopo le dimissioni canta all’ Hyde Park di Londra davanti a quasi cinquanta mila persone.
Dopo esibizioni in cui la cantante londinese è visibilmente alterata da alcol e sostanze, senza però mai togliere qualità ai concerti, nel 2009 la troviamo perfettamente sobria in un tour in diversi locali.
Canta poi in concerti in Italia, Brasile, Turchia e in altre nazioni: ovunque è un successo.
Ma il 23 luglio 2011 il suo corpo viene trovato senza vita sul letto della sua abitazione di Londra.
Morendo all’età di 27 anni è entrata nella macabra lista denominata “Club 27”, ovvero quei cantanti deceduti a quell’età che hanno fatto la storia della musica internazionale: Kurt Cobian dei Nirvana, Brian Jones, fondatore dei Rolling Stones, Jimi Hendrix, Janis Joplin e Jim Morrison. Sono molti a sostenere che, tra queste leggende della musica, la Winehouse fosse la più talentuosa.