L’ultima dichiarazione congiunta tra Stati Uniti e Cina ha sollevato speranze e dubbi nel mondo della politica ambientale. Sebbene entrambi i giganti che più di tutti emettono CO2 nell’atmosfera abbiano promesso di intensificare la cooperazione per ridurre le emissioni di gas serra, ha sollevato interrogativi sulla reale portata di questo accordo per l’assenza di un impegno specifico contro l’uso del carbone e dei combustibili fossili
L’attenzione si è focalizzata principalmente sull’incremento della cooperazione per ridurre il metano e sostenere la crescita delle energie rinnovabili entro il 2030. Il recente incontro dei presidenti degli Stati Uniti e della Cina in California, con il clima come uno dei pochi punti di potenziale accordo, segna una svolta significativa dopo un lungo periodo di stallo nei colloqui tra le due nazioni. Un anno di sforzi diplomatici ha finalmente portato a una posizione comune, ma ancora incompleta, sulla questione ambientale.
Mentre entrambi i paesi riaffermano il loro impegno per una notevole crescita nell’energia rinnovabile e per riduzioni significative delle emissioni entro il 2030, la mancanza di impegno concreto per ridurre l’uso del carbone ha suscitato perplessità tra gli osservatori. La COP28, la conferenza delle Nazioni Unite sul clima, aveva evidenziato l’importanza di affrontare direttamente il tema dei combustibili fossili, cosa che questa dichiarazione congiunta sembra aver invece tralasciato.
Questo accordo, sebbene considerato un passo positivo, ha evidenziato le difficoltà nel raggiungere un consenso su questioni cruciali. L’attenzione posta sul metano è indubbiamente rilevante, considerando il suo impatto immediato sul riscaldamento globale. Tuttavia, la mancanza di firma cinese al Global Manthrop Pledge e la sua esclusione iniziale dalle proposte dell’ONU evidenziano quanto sia cruciale coinvolgere tutti i gas serra nella lotta al cambiamento climatico.
La prossima COP28 a Dubai, con la sua imminente apertura, si prepara a ricevere questa dichiarazione come un segnale di ottimismo. Tuttavia, in un contesto di tensioni politiche e con l’anno 2023 proiettato come uno dei più caldi nella storia, le speranze di progressi significativi durante il vertice restano cautamente moderate. Le difficoltà nel raggiungere un accordo universale sulla questione dei combustibili fossili e degli obiettivi climatici pongono in evidenza i limiti della COP come forum decisionale. Da Parigi in poi, la COP ha negoziato soltanto dei dettagli anziché proporre trattati radicali e vincolanti per affrontare l’emergenza climatica.
Il prossimo vertice affronterà nuovamente il dilemma dei combustibili fossili, spingendo su una rapida transizione verso energie più sostenibili. Tuttavia, le divergenze tra le nazioni ricche di petrolio e quelle che ne subiscono le conseguenze pongono ostacoli considerevoli.
La questione finanziaria non è da meno: il fondo loss and damage, un passo verso la responsabilizzazione dei grandi inquinanti verso le nazioni più colpite, rimane al centro di dispute e incertezze sul suo finanziamento e gestione. L’approccio subnazionale, con un’attenzione alle azioni locali, emerge come una possibile fonte di progresso concreto. La presenza di sindaci e governatori alla COP28 promette una discussione più pragmatica, poiché le città sono responsabili di una grande fetta delle emissioni globali.
Ma cosa bisogna attendersi dalla COP28 allora?
L’atteso addio ai combustibili fossili sembra purtroppo ancora un traguardo distante, con posizioni divergenti sulla loro eliminazione e l’accelerazione verso fonti rinnovabili. Le tensioni tra Cina e Stati Uniti persistono su molteplici fronti, inclusi quelli commerciali legati all’energia pulita. In definitiva, l’impegno congiunto di Stati Uniti e Cina per affrontare il cambiamento climatico rappresenta un passo avanti, ma le questioni cruciali rimangono irrisolte. La COP28 si preannuncia come un crocevia cruciale, in cui la politica ambientale dovrà confrontarsi con le sfide concrete del mondo contemporaneo. Ancora una volta la salvaguardia del pianeta che abitiamo non sembra essere una priorità nelle politiche internazionali.
Riccardo Pallotta©