In Romania continua quella che da molti giornali è stata definita la “strage silenziosa dei cani”; dal 2013, infatti, una legge ha reso possibile la soppressione dei cani randagi dopo sole due settimane di permanenza in canile, e il caso della Romania non è certo il primo nei paesi dell’Unione Europea.
La motivazione? I randagi possono essere soppressi per problemi relativi all’igiene pubblica e perché creano spese impreviste alla manutenzione della città.
La legge 258 è stata approvata dal Parlamento romeno sei anni fa ed è soltanto grazie alle proteste delle Ong per la salvaguardia dei cani che la notizia è venuta a galla.
Appare impensabile che nel 2019 l’unica alternativa possibile per fronteggiare l’emergenza randagismo sia la barbarie della soppressione di massa, che non si sia pensato a soluzioni alternative (dalla sterilizzazione ai microchip all’adozione consapevole), e a nulla sono valse le proteste dei ben pochi politici che hanno affermato con coraggio che «le amministrazioni e le istituzioni locali non hanno mai saputo dare una risposta concreta e rispettosa della vita degli animali a questa emergenza».
Un problema, quello del randagismo, che in Romania effettivamente esiste dall’epoca dei piani di urbanizzazione del dittatore Ceauşescu: le palazzine erano troppo anguste per ospitare anche i fedeli amici a quattro zampe e ciò ne determinò il conseguente abbandono per le strade di Bucarest.
60.000 cani in giro per la capitale e un evento decisivo che fece emettere questa assurda proposta di legge: nell’estate del 2013, infatti, un bambino di quattro anni morì dopo il morso di un randagio.
Dal 2001 al 2018 le morti accertate dei poveri animali «per mano del governo» sono state in totale 144.000, mentre L’UE continua a non dare nessuna linea guida sull’argomento.
Ambra Belloni