Anche se ora Facebook si chiama Meta, le cose non cambiano. E i peccati dei padri, in questo caso, ricadono sui figli, anche perché sono la stessa cosa.
Tra il 2019 e il 2020 Facebook ha creato diversi account fake per studiare in che modo il social network “Facebook” poteva o meno avere un ruolo attivo nella diffusione di fake news e nella conseguente radicalizzazione dell’utenza. Una domanda quasi retorica, ma, probabilmente, la ricerca è stata effettuata per smentire questa idea.
Cosa che non è riuscita, in quanto, i risultati della ricerca hanno chiaramente dimostrato che l’algoritmo di Facebook aiutava (e forse aiuta e aiuterà) la diffusione dei gruppi più radicali di complottisti, come Qanon, molto in voga negli USA, spingendo gli utenti in bolle sociali fatte di complottismo, odio e incitamenti alla violenza.
La ricerca è stata tenuta nascosta da Facebook ed è stata divulgata solo grazie a Frances Hugen, ex product manager di Facebook e fonte dei Facebook Papers: 10.000 pagine di documentazione riservata di Facebook piene di segreti, tra i quali anche i risultati della ricerca in questione. In pratica, Facebook ha avuto un ruolo attivo nella diffusione delle teorie del complotto e persino nella radicalizzazione dell’America (e non solo, molto probabilmente).
Questa ricerca è tra le prove presentate al congresso dalla stessa Frances Hugen, per dimostrare come la stessa Meta (all’epoca Facebook) non abbia voluto agire, per limitare la diffusione di contenuti pericolosi e falsi su Facebook (il social), anche se era perfettamente a conoscenza del problema e di quello che ne sarebbe conseguito.
Manager e dirigenti di Meta hanno ignorato di proposito i preoccupanti report interni e permesso a gruppi di cospirazionisti, complottisti, no vax e ogni possibile gruppo di folli di crescere e attirare nuovi seguaci.
Perché? Solo Zuckerberg, forse, potrà rivelarcelo.
Domenico Attianese