È l’ultimo ventennio del 1800, l’invenzione del primo cavalletto da campagna e dei colori a tubetto spingono i pittori a uscire dai loro atelier per vivere una nuova esperienza immersiva di luci e colore, un’arte percettiva, fatta prima di sensazioni e poi di immagini, con predilezione di paesaggi urbani: nasce l’Impressionismo parigino ed il suo gruppo di artisti, un gruppo che lavora spesso unito e a volte simultaneamente su soggetti uguali. Nel bel mezzo di questa grande famiglia artistica, una donna, acclamata da pochi e troppo tardi, Berthe Morisot.
Berthe nasce a Bourges nel 1841 da famiglia borghese, in un ambiente colto e stimolante, crocevia di artisti e creativi. Il trasferimento a Passy fa accrescere in lei un vero culto per l’arte. Culto, il suo, da subito insidioso, per il suo essere nata donna. La Morisot, infatti, non può accedere all’accademia per un’adeguata formazione e questo la costringe alla guida prima del neoclassicista Geoffrey-Alphonse Chócarne, e poi di Joseph Guichard, un ex allievo di Ingres, privatamente. Come chi ai tempi sconvolse il modo di fare arte, anche Berthe si sente stretta negli accademismi e inizia a dipingere en-plein-air con un suo atelier nel giardino di casa, costruitole dal padre. Il matrimonio della sorella la fa sprofondare in una profonda malinconia che combatterà avvicinandosi ai pittori impressionisti. Proprio in questo periodo conosce Édouard Manet, che la ritrarrà in ben undici tele. È attraverso Édouard e al loro speciale legame che la pittrice incontra Eugene, fratello del pittore e suo futuro marito.
Eugene approva la sua vocazione per l’arte, le concede di continuare a dipingere ma la società dissente, le donne non possono in alcun modo associarsi ad un mestiere così maschile come la pittura. Inizia per Berthe una pittura clandestina: non possedendo più un atelier e non potendosi esporre all’aperto con gli altri colleghi, è costretta ad abbandonare la tecnica en-plein-air e a lavorare nella sua camera, al chiuso, nascondendo di volta in volta il materiale dietro il paravento all’arrivo di ospiti in casa. Nel 1873 decide di imporsi e di trovare posto nel panorama artistico, esponendo con il gruppo e associandosi a loro come unica donna del movimento impressionista. Non mancheranno critiche e forme di sdegno dagli accademici. Il suo ripido cammino culmina negli ultimi anni di vita con un discreto successo. Alla sua morte, però, non le viene riconosciuto nulla, la sua lapide reca una sola scritta, «Berthe Morisot, vedova di Eugène Manet», senza elogi sul suo percorso tortuoso di artista. Anche il suo certificato di morte reca la dicitura «senza professione».
In un mondo ancora restio all’emancipazione femminile, Berthe Morisot rappresenta una delle poche artiste riuscite ad elevarsi, in una cultura fatta a immagine e somiglianza dell’uomo. Una personalità brillante, dotata, ammirabile e di grande ispirazione per le donne dopo di lei e di oggi.
Elena Caravias