E’ proprio un gruppo di ricercatori italiani che, osservando i dati pubblicati sui siti dell’ Arpa, messi quindi a confronto con i casi ufficiali di contagio, che ha rilevato il nesso tra la presenza delle polveri sottili e la diffusione del Coronavirus.
Il vettore di trasporto, sosterrebbero gli esperti, sarebbe il particolato atmosferico, dato da un insieme di particelle sia liquide che solide, le quali restano sospese in atmosfera. Tali particelle possono essere di origine naturale, quindi determinate da eventi quali le eruzioni vulcaniche o lo spry marino, come di natura antropogenica, ovvero dovute alle emissioni derivanti dagli impianti industriali, non di meno dal traffico. Le ben note a tutti polveri sottili, sembrerebbero permettere al virus in questione di veicolare maggiormente, considerando che il substrato determinato dal particolato atmosferico, permetterebbe al virus di sopravvivere per diverse ore o giorni. Un dato allarmante che lascia supporre una natura umana protagonista della propria condizione di salute e che la costringe a umiliarsi all’interno di una riflessione importante circa la sua responsabilità sull’impatto ambientale. Una clausura, dunque, non solo legata alla lotta per debellare questo terribile contagio, ma anche e soprattutto presupposto di acquisizione della consapevolezza e della riscoperta di una coscienza assopita.
Una fase di non ritorno, quella che costrige le persone alla rivalutazione dei valori, dei sentimenti, di uno stile di vita diverso, più incentrato sulla naturalità che sulla corsa verso il materialismo ed il consumismo. Una scoperta, questa, fondamentale dal punto di vista scientifico, ma soprattutto antropologico, affinchè la specie umana deponga lo scettro della presunzione e ripieghi nel proprio animo il suo sguardo, considerando questo blackout un’opportunità per arrestare il folle ingranaggio dell’autodistruzione ed in tal senso imparare a riconoscere la sacralità della terra ed il rispetto per la vita.
Eleonora Giovannini