Per rintracciare le origini del Pecorino Romano dobbiamo risalire fino all’epoca romana, nel territorio agreste che circonda la capitale.
Si trovano testimonianze di una primitiva varietà di questo formaggio nei testi di numerosi scrittori e studiosi dell’Antica Roma, tra cui Lucio Giunio Moderato Columella, Publio Virgilio Marone, Gaio Plinio Secondo conosciuto come Plinio il Vecchio e Marco Terenzio Varrone, i quali nelle loro opere hanno descritto con dovizia di particolari le tecniche di lavorazione e conservazione del prodotto, mettendone in risalto le proprietà nutritive e organolettiche.
Questa è la descrizione che Columella riportò nel suo trattato intitolato “De re rustica”:
«[…] il latte viene generalmente fatto rapprendere con caglio di agnello o di capretto (…) Il secchio della mungitura, quando sia stato riempito di latte, si deve mantenere a medio calore: non si deve tuttavia accostarlo al fuoco […] ma si deve porre lontano da esso, e appena il liquido si sarà rappreso dovrà essere trasferito in cesti, panieri o forme. Infatti è essenziale che il siero possa scolare immediatamente ed essere separato dalla materia solida […]. Poi quando la parte solida è tolta dalle forme o dai panieri dovrà essere collocata in ambiente fresco e oscuro, perché non possa guastarsi, su tavole più pulite possibile, e cosparse di sale tritato affinché trasudi il proprio umore».
La semplicità con cui poteva essere trasportato, la capacità di mantenersi a lunga conservazione, l’alto valore proteico e la facile digeribilità lo resero già allora un alimento particolarmente apprezzato tanto da nobili e reggenti che dai legionari: la dieta di questi ultimi, in particolar modo, ne prevedeva un consumo giornaliero pari a un’oncia (cioè 27 grammi), da assumere insieme alla razione di zuppa di farro e al tozzo di pane che costituivano il pasto base di ogni soldato, così che ciascuno potesse immagazzinare energie sufficienti per poter sostenere le faticose battaglie e i lunghi spostamenti da un territorio all’altro.
E furono proprio queste proprietà a far sì che nei secoli la tecnica di trasformazione del latte in Pecorino Romano si diffondesse anche in Toscana e Sardegna.
Nel tempo, la terra dei nuraghi è divenuta il luogo ideale dove produrre il Pecorino, non solo per la sua lunga tradizione agro-pastorale e le sue terre incontaminate, ma anche per via di una legge del 1884 emanata dall’allora sindaco di Roma, Leopoldo Torlonia, il quale vietò che in città venisse praticata la salagione, tecnica fondamentale nel processo di conservazione del prodotto, spingendo così i produttori romani a spostarsi sull’isola.
Ai giorni nostri il formaggio viene prodotto sia nel Lazio che in Sardegna e nella provincia di Grosseto, perché soltanto in questi territori si trovano ancora le razze ovine autoctone tenute allo stato brado (pecore per il latte e agnelli per il caglio) e pascoli in cui crescono determinate erbe aromatiche che infondono all’alimento il tipico gusto che lo caratterizza da sempre.
Addirittura, ormai, il 97% della produzione avviene proprio in Sardegna: dagli ultimi controlli registrati 3 anni fa risultano 10.939 allevamenti nell’isola per un totale di 41 produttori e poco meno di 300 allevamenti per 4 produttori nel Lazio.
Non a caso la sede del “Consorzio per la tutela del formaggio Pecorino Romano” si trova in provincia di Nuoro, a Macomer.
Naturalmente è un ingrediente largamente utilizzato nella preparazione di molte pietanze della tradizione culinaria laziale: è uno degli ingredienti di base nella pasta all’amatriciana romana, nella pasta cacio e pepe, nella pasta alla carbonara e negli spaghetti alla gricia e viene consumato insieme alle fave fresche e al vino rosso dei Castelli durante le immancabili gite del “Maggetto” (come viene chiamato a Roma il 1° maggio).
È il quarto formaggio italiano più venduto all’estero: nel 2017 sono state esportate all’incirca 22.000 tonnellate che sono finite, principalmente, sulle tavole degli statunitensi, dei francesi, dei tedeschi, degli inglesi e degli olandesi.
Si possono distinguere due tipi di Pecorino Romano: quello da tavola ha una stagionatura di circa 5 mesi ed è salato e leggermente piccante; quello da grattugia viene fatto stagionare fino a 8 mesi, ha un gusto molto più piccante e può avere diversi livelli di sapidità.
Può avere una pasta compatta o lievemente occhiata, dura e di un colore che può variare dal bianco avorio al giallo paglierino, così come la crosta che può essere lasciata al naturale o rivestita da una pellicola protettiva nera che serve a preservarne il gusto da possibili alterazioni.
Solitamente ha forme cilindriche, con un piatto che varia dai 25 ai 35 centimetri di diametro e uno scalzo, ovvero la superficie laterale dove solitamente viene impresso il marchio, che può essere alto dai 25 ai 40 millimetri.
Il marchio di riconoscimento ha la forma di un rombo dagli angoli arrotondati, al centro del quale vi è impressa la testa stilizzata di una pecora accompagnata dalla dicitura “Pecorino Romano”.
È consigliabile avvolgere il formaggio in un panno di cotone o nella carta e di tenerlo in frigo per mantenere inalterato il sapore.
Inoltre, se si vuole giustarlo al meglio, sarebbe preferibile tirarlo fuori dal frigorifero e rasciarlo riposare a temperatura ambiente almeno un’ora prima di metterlo in tavola.