All’improvviso, nel pomeriggio del 4 marzo 2020, è stata comunicata la sospensione, inizialmente fino al 13 marzo, di qualsiasi attività didattica in tutte le scuole di ogni ordine e grado. Da quel momento, è calato il silenzio nelle aule ed è iniziata una nuova era affidata alla Dad, acronimo che sta per Didattica a distanza. Niente di più estraneo alla vita della scuola dove il contatto quotidiano e in presenza è la natura stessa dell’insegnamento tanto che si sta puntando, per il futuro, ad una Dvd, Didattica della vicinanza digitale.
Dopo un primo momento di ansia e di sgomento si è messa in moto una macchina organizzativa per non lasciare i ragazzi, che normalmente siedono nelle classi, soli, abbandonati davanti ad un’evenienza destabilizzante. A poco a poco dirigenti e insegnanti si sono impegnati e spesso inventati per portare avanti una missione che si riteneva impossibile svolgere da remoto o in smart working, termini comuni negli ultimi tempi. L’insegnamento, infatti, prevede un’anima di contatto, di condivisione di sguardi, di gesti, di reciproco scambio, di inclusione, di abbraccio emotivo.
Ma il coronavirus è riuscito a distruggere anche questo.
Repentinamente i nostri ragazzi, nativi digitali sovente solo a parole, si sono trovati a seguire lezioni e a inviare compiti su piattaforme più o meno fruibili mentre i docenti, non sempre formatissimi, si sono improvvisati esperti digitali, andando alla ricerca del suggerimento e dell’aiuto di altri. Giorni frenetici, senza orario, spesi tra computer, cellulare, gruppi whatstapp, webinar, un’ardua impresa per gli educatori che da dietro una cattedra sono stati catapultati davanti ad un computer alla ricerca di un modo per fare sentire la propria vicinanza a quei giovani che fino a pochi giorni prima erano di fronte.
Ma essere un educatore significa sapersi reinventare per entrare in contatto con quei giovani che attraverso i decenni sono mutati proponendo sempre nuovi spunti all’insegnante di turno.
Ed allora un pensiero va al maestro Alberto Manzi che all’incirca sessant’anni fa, grazie alla televisione, con il suo seguitissimo programma “Non è mai troppo tardi”, ha alfabetizzato milioni di italiani divenendo un precursore della Didattica a distanza. Un esperimento il suo iniziato nel novembre del 1960, quando Manzi, in servizio, dal 1954 al 1987, presso la Scuola elementare Fratelli Bandiera nel quartiere di Piazza Bologna a Roma, venne mandato dal suo direttore didattico a fare un provino alla Rai: stavano cercando un maestro per un nuovo programma per l’istruzione degli adulti analfabeti. Venne scelto lui e gli fu affidata la conduzione di Non è mai troppo tardi, che durerà ben otto anni. Si stima che quasi un milione e mezzo di persone abbiano conseguito la licenza elementare usufruendo di queste lezioni a distanza, svolte come un vero e proprio corso serale. Le trasmissioni avvenivano nel tardo pomeriggio, prima di cena, un appuntamento atteso da migliaia di persone che, di ritorno dai campi e dalle fabbriche, prendevano carta e penna e si sedevano per seguire le lezioni d’italiano del Maestro. Manzi, avvalendosi di metodologie didattiche davvero innovative per l’epoca, con il suo carisma e anticipando la didattica ludica, utilizzava un grosso blocco di carta montato su cavalletto sul quale scriveva, con l’ausilio di un carboncino, semplici lettere, parole, frasi accompagnate da accattivanti disegnini di riferimento. Usava anche una lavagna luminosa, precorritrice della odierna LIM (lavagna interattiva multimediale), per quei tempi assai suggestiva.
La verità è che la magia dell’insegnamento trova sempre il modo di estrarre dal cilindro nuove e invitanti opportunità per coinvolgere il variegato mondo dei discenti.
Bruna Fiorentino