Maria Armezzani. Basta scrivere soltanto il suo nome per rappresentarne la grandezza, il suo fare rumore soltanto col pensiero, lontana da ogni forma di palcoscenico e da qualsiasi inutile, banale ostentazione. Del sé lei sapeva dire, scrivere sapientemente, molto più di tanti altri noti nel panorama della cultura.
I social pullulano di commenti accorati e di sgomento, di fronte alla scomparsa di una Donna straordinaria, non soltanto nel mondo della ricerca e come psicologa, ma come persona. E chi l’ha conosciuta sa il senso di quanto nessuno può riuscire a descrivere. Lei non amava retoriche e lungaggini, era essenziale, come suo padre Renzo Armezzani del quale aveva nelle vene l’intero patrimonio genetico fatto di cura, di verità e di cose vere.
La conoscevo da quando avevo sedici anni, quando a casa dei suoi genitori cercavo di recuperare le materie di studio per cui ero stata rimandata. Da lei ho ricevuto ogni forma di stimolo, la sua stima, la sua amicizia. Era già guarita dal male molti anni fa. Di questo mistero abbiamo dialogato a lungo, ricercandone insieme il senso. Conosceva molto bene Galimberti, ma preferiva rimanere ai piedi del palco esistenziale e da psicologa era consapevole di certi inganni che la popolarità comporta, per questa ragione la schivava.
Scrivo con uno strano torpore nelle dita perché, quando il dolore è forte il corpo smette di sentire e si difende.
Lei diceva sempre: “noi siamo di un altro mondo”, per lei aveva poco senso quest’epoca piena di Ego, di protagonismi, di tuttologi, lei si rannicchiava nello studio, senza mai sprecare inutilmente una sola parola.
Questo non è un articolo, ma chi se ne frega, avrebbe detto lei con quel sorriso buono e lontano dai manierismi. Chi se ne frega. È un saluto tra dolore e certezza che in quell’altro mondo adesso, Mimma cara – era così che ti si chiamava – stai accarezzando la meraviglia della migliore delle esperienze, quella di camminare sul filo dell’infinito.
Di Eleonora Giovannini
