Negli anni ’80 un gruppo di studiosi ha avallato l’attendibilità degli autori antichi che descrivono il processo oracolare.
Il tempio di Apollo a Delfi era il più rilevante santuario dell’antichità greca perché importante sede di un oracolo. Nel suo adyton, l’ambiente più interno della struttura, una particolare sacerdotessa, denominata Pizia,
aveva il compito di fungere da medium tra gli uomini e il dio. Plinio, Diodoro, Platone, Strabone, Pausania, Plutarco, sono solo alcuni degli illustri autori antichi che recano dettagliata testimonianza riguardo il processo oracolare. Le fonti sono concordi nell’indicare che il responso alle domande dei fedeli veniva pronunciato dalla Pizia seduta su un tripode posto al di sopra di una spaccatura nel terreno da cui emergevano particolari vapori, veicolati anche da una vicina fonte, in uno stato di leggera trance indotto da questi.
La descrizione fornita dagli autori antichi è stata largamente accettata dal mondo accademico sino a circa il 1900, quando lo studioso francese Adolphe Paul Oppè, visionando i resti del tempio interessati da uno scavo
archeologico, non riscontrò la presenza di fessure nel terreno. Con i suoi scritti diffuse dunque l’idea che, a riguardo, le fonti storiche non avessero credibilità; chiamando in causa a sostegno della sua tesi anche il fatto che il sito di Delfi non pareva interessato da particolari fenomeni geologici capaci di generare gas.
Negli anni ’80 le convinzioni degli esperti sull’argomento ebbero una nuova, importante, inversione di tendenza, ad opera di un gruppo di quattro studiosi composto dal geologo Jella Zeilinga de Boer, dall’archeologo Jhon R. Hale, dal chimico Jeffrey P. Chanton e dal tossicologo Henry A. Spiller. L’equipe, infatti, riconfermò con le sue ricerche la credibilità delle fonti. Hale mise in evidenza come la struttura templare stessa sia caratterizzata da un impianto anomalo rispetto gli altri templi greci, che suggerisce un suo particolare uso in relazione alla natura geologica del luogo: il suo cuore è più profondo di circa 2-4 metri rispetto il piano di calpestio dello stilobate e presenta uno scarico per l’acqua sorgiva accanto a quest’area seminterrata. Fece notare, inoltre, come anche altri templi dedicati ad Apollo in diverse aree del Mediterraneo apparissero
connessi a fonti sacre, confermando l’idea che la scelta dei loro siti era legata ad una particolare conformazione geologica del luogo. De Boer notò come al di sotto del tempio ci fosse il punto d’intersezione di due faglie
attive nella regione. Spiller e Chanton, riguardo la natura del gas che generava la trance, indicarono che questo doveva, con tutta probabilità, essere etilene, sprigionato dalle rocce a causa del loro riscaldamento per attrito in relazione al movimenti delle faglie. Questa sostanza ha infatti proprietà anestetiche cosicché, se inalata in piccole quantità, induce uno stato di leggero stordimento.
Gli studi di de Boer, Hale, Spiller e Chanton, non lasciano dunque più dubbi riguardo l’affidabilità delle descrizioni forniteci dagli autori antichi, confermando scientificamente il suggestivo processo oracolare che
avveniva nel santuario di Delfi.
Glenda Oddi