Il 27 settembre 2019 la Giunta Capitolina della città di Roma, con delibera 190, firma un Protocollo d’Intesa, triennale e rinnovabile, con la Regione Lazio per la gestione del cinghiale selvatico (si rivelerà una soppressione) nel territorio di Roma Capitale dove, a causa dell’incremento del loro numero, iniziato con il periodo del lockdown, stanziano nelle periferie della città e anche nelle vie più centrali dell’urbe. Gli ungulati avrebbero avuto bisogno di territori più estesi, si legge nel protocollo, per procacciarsi il cibo, ma ora lo reperiscono facilmente tra i rifiuti depositati intorno ai cassonetti e nelle discariche ai bordi delle strade.
La delibera sostiene anche che “nel Lazio come in tutto il territorio nazionale il cinghiale rappresenta il principale fattore di conflitto tra specie animali e attività dell’uomo”. E per questo, concordano, la decisione dell’intervento (militare) si rende necessaria perché “la loro presenza può risultare pericolosa per l’incolumità pubblica”.
Per dare maggiore efficacia al provvedimento sono stati coinvolti, oltre ai rappresentanti politici della Direzione Ambiente, Agricoltura, Salute e Integrazione Sociosanitaria della Regione Lazio e di Roma Capitale, gli Enti Parco Regionale, Polizia, ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), ISS (Istituto Superiore di Sanità), IZSLT (Istituto Zooprofilattico Sperimentale).
Inoltre, sono state inserite norme e disposizioni di riferimento (altrimenti si scrivono per quale motivo?), tra le quali: la Legge Regione Lazio 2 maggio 1995 n. 17 “Norme per la tutela della fauna selvatica”; la Legge Regionale Lazio del 6 ottobre 1997 n. 29 “Norme in materia di aree protette regionali; il Regolamento Comunale sulla Tutela degli Animali” approvato il 24 ottobre 2006 e tante altre parole.
Il Protocollo d’Intesa è stato firmato, ognuno per le proprie competenze, dai direttori Guido Calzia, Marcello Visca e dal Ragioniere generale Anna Guiducci.
Dalle parole della delibera di approvazione e dai mandati si è passati ai tristi fatti che hanno riempito le cronache di tanti giornali.
Il disappunto per le uccisioni dei cinghiali è maggiorato se si pensa che non si è operato nel rispetto degli animali quali esseri senzienti riducendo al minimo lo stress e la sofferenza nelle operazioni di cattura e abbattimento. Nulla è stato fatto per limitare il rischio di penetrazione dei cinghiali nel tessuto urbano e periurbano della citta di Roma, quindi del loro allontanamento, né sono stati predisposti piani di gestione del numero dei cinghiali all’interno di aree protette di Roma Capitale. E chi mai ha visto l’impegno di prendere tutte le misure possibili per evitare la presenza di rifiuti in tutto il territorio per eliminare ogni fonte trofica di origine antropica in grado di attrarre, ungulati e non, nell’area urbana, men che meno avere provveduto alla pulizia delle aree urbane pubbliche in modo adeguato all’emergenza, né aver promosso e sostenuto metodi alternativi per evitare gli abbattimenti, e non c’è stata nessuna installazione adeguata di recinsioni!
Niente di niente! Per il problema della SVS Scrofa Linnaeus erano previste, dalla delibera, le alternative del “metodo ecologico o di controllo indiretto” (auspicato e auspicabile per evitare gli animalicidi), oppure “di controllo diretto”, ossia il più semplice, comodo, sbrigativo e senza chiacchiere: cattura e abbattimento. E vai con la crudeltà inutile e aberrante che sconquassa ambiente ed ecosistema!
Il parco dell’Insugherata, dove sostano (o sostavano) gli ungulati, dopo quanto è successo rischia di diventare il parco dell’Insanguinata per l’annientamento totale delle povere bestie.
Il nostro giornale continuerà a seguire la vicenda, anche quella legale, visto che dopo l’accaduto gli attori interessati si sono scambiati improperi e promesse di denunce.
Bruno Cimino