Aboubakar è un giovane ragazzo africano che ha accettato di farsi intervistare nonostante esperienze traumatiche riguardanti più il suo lungo estenuante viaggio che lo ha condotto in Italia, due anni fa, che la sua reale permanenza nel nostro Paese.
Un viaggio che lo ha visto partire insieme ad altri trentacinque ragazzi da Burkina Faso, carico di dolore e ricordi che il nostro amico non ha voluto in alcun modo raccontare. Di fronte alle nostre ripetute richieste si è limitato a dire con voce quasi strozzata: ” un viaggio non raccontabile“. Sostiene che molti dei suoi compagni siano rimasti indietro.
Il suo approdo in Libia è avvenuto nel 2015 e si è risolto con una sparatoria alla gamba, a seguito di una forma di ribellione da parte di molti, a causa di lavori pesantissimi non retribuiti.
“Non ti puoi ribellare – dice Abou, di appena diciannove anni, – infatti il datore di lavoro si è molto arrabbiato e ha chiamato la polizia quando ci siamo lamentati”
L’intervento militare è stato per lui un momento di estrema paura durante il quale ha forse pensato di morire. E’ stato un suo amico a soccorrerlo e a farlo curare. Dopo undici mesi di convalescenza, non potendo più restare lì e non potendo tornare nel suo Paese, ha visto come unica soluzione la partenza per l’Italia.
E’ giunto insieme ad altri clandestini in Sicilia, dove è rimasto per due giorni, per poi ripartire e arrivare a Bologna, a Senigallia e poi in Ancona.
Sua madre, dopo l’esperienza in Libia, non voleva che continuasse a viaggiare, temeva per la sua vita, ma lui l’ha convinta che soltanto così avrebbe potuto trovare la speranza di raggiungere una stabilità.
Abou ce l’ha fatta, ora è indipendente, lavora presso un ristorante e paga l’affitto della propria abitazione. Vorrebbe migliorarsi ancora, ma dichiara che in Italia si trova bene, che ha molti amici, che per stare bene in un altro paese è necessario prima di tutto rispettarne usanze e costumi, senza imporre la propria cultura. Sorridendo ci mostra il suo cellulare, dichiarando di essere un fan di Salvini.
“Io amo Salvini, sono iscritto a tutti i suoi canali e lo seguo sempre, perché dice la verità e racconta cose che corrispondono alla realtà. In Francia si comportano peggio che in Italia“.
Gli chiediamo se gli italiani lo hanno mai emarginato. Risponde che questo dipende anche da lui, da come si sa rapportare con il prossimo, che per stare bene non bisogna mai giudicare gli altri e che a casa altrui si devono rispettare le regole presenti. Vorrebbe trovare una ragazza – aggiunge – non importa di che etnia sia, basta che sia intelligente e con dei valori.
Insistiamo con il domandargli se la sua idea così positiva nei confronti del Ministro Salvini non sia forse dettata dal bisogno di essere accettato, piuttosto che da una sua reale convinzione.
Accenna un sorriso, con un’espressione che sa di stanchezza e che sembra chiederci di concludere la nostra intervista.
Ci saluta con una cordialità d’altri tempi, quasi riverente. I suoi occhi si intristiscono solo quando torniamo a chiedergli delle esperienze riguardanti il suo lungo viaggio. Scuote la testa e se ne va.
Eleonora Giovannini