Una scoperta archeologica degli anni ’80 ha confermato l’esistenza di un popolo di abili navigatori nell’attuale regione dell’Oman ed inspirato un progetto di archeologia sperimentale.
Nel 1981 l’archeologo Maurizio Tosi, sulla costa dell’Oman (antica Magan), la regione sud-orientale della Penisola Arabica, presso la località di R’as al-Jinz, rinvenne un coccio con segni graffiti nella scrittura della Valle dell’Indo. L’incisione indicava che da quel luogo partivano delle navi che raggiungevano la costa antistante dell’India. Tosi e l’archeologo francese Serge Cleuziou operarono in quello stesso sito degli scavi tra il 1985 e il 1994, che portarono alla luce un intero villaggio di pescatori del III millennio a.C.. Tra gli elementi rinvenuti vi furono anche diversi frammenti di bitume che recavano su un lato l’impronta di canne e sull’altro resti di crostacei. Quest’ultimo elemento fugò il dubbio che i frammenti fossero parte del sistema di rivestimento delle abitazioni realizzate con elementi vegetali, confermando l’idea che fossero stati usati per calafatare le imbarcazioni. Si ebbro così le prime prove concrete dell’esistenza di naviganti attivi nel commercio marittimo tra la penisola arabica e l’india nel III millennio a.C., a cui fanno riferimento diversi testi antichi. Nacque di conseguenza, sempre sotto la direzione di Tosi e Cleuziou, il progetto di archeologia sperimentale volto a ricostruire un esemplare delle imbarcazioni di questo popolo, con il coinvolgimento del Dr. Tom Vosmer del Western Australian Maritime Museum di Fremantle, noto per aver ricostruito la leggendaria nave di Sindbad.
I dati raccolti da fonti grafiche e scritte dell’antichità e i rinvenimenti di bitume suggeriscono delle imbarcazioni realizzate con fasci di canne, a forma di mezzaluna con apici di uguale altezza, un albero centrale e due remi paralleli presso la poppa che fungevano da timone. Nel 1997 venne realizzata una ricostruzione grafica della nave, seguì il modello 1:20, poi quello 1:3 tra il 2000 e il 2001. Quest’ultimo risultò avere successo
nel processo di galleggiamento ma il bitume in parte si sgretolò a seguito del suo trascinamento a riva, in parte si sciolse al sole, indice del fatto che gli antichi marinai dovevano utilizzare una formula particolare per l’impermeabilizzazione oscura agli studiosi. Dal 2002 al 2005 si lavorò alla costruzione della nave vera e propria, con una lunghezza di 12 metri, una larghezza massima di 4 e un’altezza, in prossimità delle punte, di 3 metri. L’imbarcazione naufragò poco dopo il varo a causa dell’inefficace sistema di calafataggio. L’insuccesso fu ulteriore testimonianza per tutti i soggetti coinvolti della particolare esperienza ed abilità dei naviganti di Magan nel realizzare le loro imbarcazioni.
Glenda Oddi