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Le bellezze della Sardegna: Tiscali, Grotta di Ispingoli e Grotta del Bue marino

di

Marino Ceci

Il monte Tiscali, alto poco più di 500 metri, separa i Supramonte di Oliena e di Dorgali. Due mondi opposti: a ovest, l’aspra e selvaggia valle di Lanaittu, a est, quella dolce e fertile di Oddoene, dove scorre il rio Flumineddu, che ha ‘scavato’ la gola di Gorropu. Dentro il monte si apre la dolina. In origine era una grotta carsica, poi la volta crollò e la frana fu ‘colonizzata’ da lecci, ginepri, frassini, olivastri, lentischi e fichi. Riparato da sole, vento e pioggia, è un luogo dal micro-clima ideale: fresco d’estate e caldo d’inverno. Su una parete si spalanca un enorme finestrone che un tempo consentiva di sorvegliare la valle, oggi di ammirare il panorama. 

Nel Nuorese, nel cuore più profondo della Sardegna, è nascosto il misterioso villaggio nuragico di Tiscali in una dolina carsica, in cima a una montagna che sovrasta la Valle di Lanaittu, è una delle meraviglie archeologiche della Sardegna. 

Si tratta del villaggio ipogeo di Tiscali, un tesoro archeologico, celato nella cresta di un monte, in un suggestivo angolo delle Barbagie. Insediamento nuragico unico per topografia e architettura, incastonato in un’enorme dolina generatasi da uno sprofondamento della volta del rilievo omonimo, costituisce probabilmente l’ultimo baluardo delle genti tardo-nuragiche contro l’avanzata romana. 

Risalente al VI secolo a.C. e abitato fino all’epoca romana, l’insediamento fu scoperto alla fine del XIX secolo e le sue condizioni erano relativamente intatte. Tuttavia da allora, i tombaroli hanno profondamente deturpato il sito, saccheggiandolo, smantellando nel corso degli anni le capanne coniche in pietra e fango e lasciando i poveri resti che si vedono oggi.  Attualmente è oggetto di studio per conoscere le civitates Barbariae che popolavano il centro-est dell’Isola in età repubblicana.

Altrettanto affascinante è il sentiero per raggiungerlo, che si snoda in una valle lussureggiante racchiusa tra imponenti pareti rocciose, dominate dalla presenza di uccelli rapaci che volteggiano in cielo. Il tutto conferisce alla zona un senso di pace, che permea tutta la valle.

Malgrado il conseguente impoverimento del sito, lo scenario risulta davvero impressionante: all’ombra sinistra della parete calcarea a strapiombo giacciono rovine ammassate alla rinfusa tra lecci e arbusti di terebinto. Nell’antichità, gli abitanti del vicino Sa Sedda ‘e Sos Carros utilizzavano il sito come rifugio,certi della sua ostica accessibilità, che a lungo assicurò ai sardi un riparo sicuro fino a buona parte del II secolo a.C. 

In questo contesto, sorge un Museo Archeologico, con le collezioni di reperti che danno testimonianza del passato della regione dall’epoca prenuragica al Medioevo.

Per raggiungere la sommità, si può salire da ambo i fianchi del monte ma sino a pochi metri dall’ingresso della caverna ‘scoperchiata’, la vista panoramica sarà impedita. All’interno, un sentiero percorre il bordo della dolina, fiancheggiando un precipizio di 200 metri: camminerai su rocce frammentarie sino ai ruderi del villaggio plurimillenario. Realizzato in più fasi lungo le pareti del monte, l’insediamento è composto da due agglomerati, databili prima in età nuragica (XV-VIII secolo a.C.), poi ristrutturati in epoca romana, infine abitati sino all’alto Medioevo. A nord, quaranta capanne tonde e ovali, con pareti sottili, copertura a tholos (o frasche), ingressi con architravi di ginepro, dentro stipetti e nicchie. A sud-ovest, circa trenta abitazioni più piccole, quadrate o rettangolari. Si avvicendano due fasi costruttive: alla più antica, nuragica, risale lo zoccolo murario a secco con pietre medio-grandi; alla seconda, pareti di piccole pietre miste a malta, risalenti forse a comunità indigene a contatto con i dominatori romani. La tecnica indica un uso provvisorio e discontinuo del sito, mentre la localizzazione dà indice del fatto che costituisse un rifugio per lunghi periodi.

Tiscali è quindi un insieme di escursioni, tappa obbligata per appassionati di natura e archeologia. Per affrontare l’impegnativo trekking è preferibile non improvvisare, ma affidarsi a guide, dotarsi di abbigliamento adeguato e scorte d’acqua. Nel versante dorgalese, dal ponte sa Barva si raggiunge agevolmente le spettacolari pareti rocciose affacciate sul Flumineddu. Fiancheggiando il fiume, si apre la ripida scala di Surtana, che porta in cima al monte. Man mano che si sale, l’orizzonte s’allarga su creste montuose e foreste. Nel versante olianese, le escursioni passano per su Gologone, sorgente che affiora in un’oasi lussureggiante. Dal capolavoro naturale si procede in auto verso Lanaittu e poi al suo interno, sino ai piedi del Tiscali, dove s’imbocca un sentiero di carbonai, ripido e sconnesso, percorribile in un’ora e mezza, e si cammina lungo una cengia sospesa sulla valle dove si passa solo in fila indiana. Raggiunta la vetta, si attraversa una fenditura nella roccia, unico accesso alla dolina, così stretta che, secondo leggenda, un manipolo di arcieri avrebbe potuto fermare una legione. L’ingresso alla fortezza naturale era difeso dai ribelli post-nuragici, ritiratisi dentro il monde davanti all’avanzata romana. Gli ilienses, così nominati dagli storiografi, “sbucavano da sottoterra come formiche” (racconta Cicerone), tendevano imboscate alle guarnigioni e razziavano armi e viveri. Poi scomparivano, come se la montagna li inghiottisse. La tattica da guerriglia continuò in età imperiale, poi i legionari per stanarli ricorsero ai mastini napoletani.

Lanaittu è la porta d’accesso al Supramonte, la cui estensione si perde a vista d’occhio: bastioni e monti oltre i mille metri, come il Corrasi, si alternano a canyon, grotte, doline, come l’imponente su Suercone. Nel fondovalle si alternano grotte impreziosite da stalattiti e stalagmiti, tra cui sa Oche e su Bentu, chilometrici tunnel percorsi da un fiume, e Corbeddu, dove sono state rinvenute tracce di homo sapiens di 20 mila anni fa. Lanaittu ospita un altro ‘paese’ nuragico, sa Sedda ‘e sos Carros, mentre poco fuori dalla valle c’è il villaggio-santuario Serra Orrios.

Grotta di Ispinigoli

Tale grotta è dominata da una enorme colonna stalagmitica alta 38 metri, ma ricca di altre curiosità dall’abisso delle vergini ai ritrovamenti di un pozzo sacrificale fenicio.

La grandiosa colonna stalagmitica è alta ben 38 metri. Le pareti dell’ambiente che l’accoglie, sono ricche di meravigliose concrezioni e cascate calcaree di straordinaria bellezza.

L’itinerario, della durata di circa quarantacinque minuti, dal belvedere panoramico situato alla sinistra dell’entrata, da dove si può ammirare la profondità della voragine prevede la discesa fino alla base della colonna percorrendo 280 gradini.

All’interno della grotta è situato l’abisso delle vergini, un profondo e stretto imbuto che mette in comunicazione con le diramazioni sotterranee della grotta, che si sviluppa per circa 12 Km nelle grembo della terra. Numerosi fiumiciattoli e ruscelli attraversano perennemente questo ramo della grotta aperto solo a speleologi esperti.

Eccezionale è l’interesse della voragine dal punto di vista storico per via del ritrovamento di resti umani di ridotte dimensioni, di anelli, monili e simboli solari hanno rivelato l’esistenza nella grotta di un pozzo sacrificale fenicio. Sulla base di questi ritrovamenti è nata la leggenda dei sacrifici umani perpetrati dai fenici per ingraziarsi gli dei.

La grotta è raggiungibile percorrendo la strada che da Dorgali porta ad Orosei: a pochi chilometri da Dorgali, si troverà sulla destra il cartello per la grotta.

La grotta è visitabile da aprile ad ottobre, mentre nei mesi invernali resta invece chiusa al pubblico.

La Grotta del Bue Marino

Essa prende il nome dalla foca monaca che “abitava” qui fino agli anni Ottanta e che dai sardi veniva chiamato appunto bue marino.

Le grotte del Bue Marino sono delle grotte litoranee situate nel territorio del comune di Dorgali nella costa orientale della Sardegna. 

La grotta, lunga 5 km è suddivisa in due rami. Il ramo sud, attrezzato per essere fruibile ai visitatori, è costituito da un’ampia galleria, in cui l’acqua del mare entra a formare numerosi laghetti dalle acque limpide, con un suggestivo lago salato, ampio circa un km, tra i più grandi al mondo.  Durante tutto il percorso è possibile ammirare stalattiti e stalagmiti di diverse tonalità, che grazie ai giochi di luce offrono uno spettacolo cromatico di rara bellezza. All’ingresso del ramo sud si possono ammirare i petroglifi, graffiti risalenti al neolitico, una serie di figure umane che danzano intorno a bassorilievi che rappresentano il sole. Il ramo nord è divenuto fossile a causa della cessata attività carsica al suo interno. La visita dura circa 30 minuti e si conclude, per quanto riguarda il ramo sud, nella Spiaggia delle Foche, dove la foca monaca partoriva i suoi cuccioli. Il ramo nord invece è raggiungibile via terra dal sentiero che lo collega con la spiaggia di Cala Fuili in circa 40 minuti.

Le grotte del Bue Marino sono raggiungibili via mare con battello, da diverse località del Golfo di Orosei. Nel porto di Cala Gonone possono essere acquistati i biglietti nei box dedicati. 

Devono il loro nome dall’appellativo in lingua sarda della foca monaca, mammifero marino ritenuto ormai scomparso dalla zona a causa della eccessiva pressione antropica.

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