come trovare la felicità secondo l’antica saggezza?
Nell’ epoca moderna la maggior parte di noi cerca di vivere inseguendo la felicità. Ma che cos’è poi questa felicità di cui tutti parliamo, a cui aspiriamo e per il conseguimento della quale necessitiamo desideriamo sempre di più. Ormai non basta più disporre di un cellulare o di una macchina, perché gli obiettivi sono sempre maggiori e non ci si accontenta mai. Si è mossi da questo spasmodico desiderio di ottenere sempre più risultati che si sostanziano solitamente in beni materiali, come se fossero i beni materiali a farci raggiungere la gratificazione anche di fronte al mondo che ci circonda, al fine di ottenere approvazione e apprezzamento. La felicità molto spesso è sinonimo di quantità e con l’evolversi dei tempi l’asticella si è sempre più elevata.
Ma come vivevano gli antichi saggi o i filosofi greci che per primi avevano affrontato il tema della felicità e che avevano iniziato a porsi sull’argomento molteplici domande?
Alcune risposte, che verranno riprese anche dai pensatori più moderni, ci vengono date dallo stoicismo e dall’epicureismo. In tali dottrine possiamo rinvenire come una sorta di terapia dell’anima. Anche se diverse, entrambe si prefiggono di raggiungere lo stesso obiettivo, ovvero quello di imboccare la strada per essere felici o quanto meno sereni.
Ma come?
Gli stoici affrontano il problema portando il focus sul presente, il solo momento esistente. Ritengono che l’infelicità derivi dal fatto che l’uomo tende a concentrarsi sul passato, sulla nostalgia per i bei periodi vissuti o sulle esperienze dolorose piuttosto che su quello che non si è potuto fare che suscita rimpianti. In alternativa ci si concentra sul futuro, la paura per ciò che possa accadere, per la malattia o addirittura la morte. Gli stoici invece sono focalizzati sul “qui e ora”, sul singolo istante al fine di poter acquisire il distacco che permettere di ottenere quell’imperturbabilità che ci rendere felici.
Gli epicurei invece vivono perseguendo il piacere, ma non un piacere inteso in modo edonistico, un piacere smodato, bensì un piacere più compassato, stabile, secondo virtù, inteso come assenza di dolore. Affrontano anche il tema della finitezza della nostra vita spiegando la loro teoria con una celebre affermazione. Se ci siamo noi non c’è la morte e quindi perché preoccuparsene; se c’è la morte non ci siamo noi.
Siamo di fronte a modalità di pensare che sono state abbracciate anche dai buddisti orientali e che vengono utilizzate oggi dagli psicologi moderni per affrontare i problemi di ansia e panico e tutto questo li rende particolarmente interessante.
Manuela Margilio