La preoccupazione per l’impronta ambientale del settore delle tecnologie dell’informazione (streaming, videogame etc.) e della comunicazione è crescente, ma immotivata. Il digitale è in costante crescita da anni, e in futuro lo potrebbe essere ancora di più, ma secondo il rapporto “A quick guide to your digital carbon footprint” l’inquinamento derivato da queste attività, per quanto di difficile calcolo, non lo sarebbe.
Le emissioni che portano all’inquinamento da parte del settore dello streaming, videogame, internet etc. rappresentano l’1,4% delle emissioni globali, ma, a differenza delle altre emissioni, non crescono al crescere dei consumi. L’esempio è lampante: negli ultimi dieci anni il traffico mondiale si è decuplicato, specialmente negli ultimi 5 anni, ma l’impatto ambientale non è cambiato.
Addirittura, se l’energia utilizzate per questi settori fosse tutta prodotta da fonti rinnovabili, l’impatto ambientale potrebbe ridursi dell’80% rispetto al livello attuale. Si tratta di un’ipotesi utopistica, ma non inattuabile, almeno nel medio periodo.
Lo studio sull’impatto ambientale del settore ICT è stato effettuato dalla Ericsson, ma non ha contemplato l’impatto che potrebbero avere le nuove tecnologie come le IA e il machine learning. Per il semplice fatto che si tratta di settori troppo recenti e troppo poco sviluppati per poterne analizzare l’impatto.
Addirittura, dal punto di vista di alcuni aspetti dell’ICT, come lo streaming, non ci sono impronte di inquinamento. Lo studio della Ericsson ha studiato anche le emissioni dell’utilizzo dello streaming e, secondo i loro calcoli, per raggiungere appena il consumo di un frigorifero una persona dovrebbe vedere 400 film l’anno tramite PC e 2900 tramite smartphone.
In pratica, si può puntare molto di più sull’ICT per lo smart working e lo sviluppo di infrastrutture digitali in modo da abbattere le emissioni.
Domenico Attianese