Il caso: Nel livornese, la gestrice di un locale ha espressamente manifestato il proprio invito a chiunque abbia votato Fratelli d’Italia, a non frequentare più il locale. Nessun divieto, ma comunque una polverone di polemiche. Ma potrebbe farlo? Ecco cosa dice la legge.
Chiarito che non è stato esposto alcun divieto, l’invito risulta abbastanza chiaro e deciso, tanto che tramite una sorta di comunicato pubblicato sui vari media, da parte del pub La Bua dell’Orate, in cui si esorta a chi abbia espresso una preferenza politica alle votazioni, per il partito di Giorgia Meloni, a non usufruire dei propri servizi in quanto la pecunia di queste persone non sia ben accetta. Una forma di protesta, originale quanto ideale, dell’imprenditrice toscana.
La Bua dell’Orate parla chiaro: “Noi i soldi di chi l’ha votata NON si vogliono. Siete gentilmente pregati di essere coerenti con il vostro voto e di non frequentare più il Nostro Baretto di Invertite/Deviate*. Con Amore, La Bua. *l’unica cosa che è deviata & invertita è il vostro cuore e cervello. VERGOGNA”.
A questo comunicato è susseguita come era prevedibile che fosse, una carrellata di polemiche, sollevando anche l’accusa di discriminazione nei confronti della titolare del pub. Così la titolare che si è prontamente difesa specificando come non abbia vietato l’ingresso ai votanti di Fratelli d’Italia, ma si sia solamente limitata a chiedere ai cittadini in questione di non frequentare più il locale. Piuttosto, un appello alla coerenza della gente.
La domanda dunque è una sola: un titolare di un’attività commerciale, può porre divieto a qualcuno di entrarvi salvo che per un valido motivo?
L’articolo 187 del Regolamento per l’esecuzione del TULPS (testo unico delle leggi di pubblica sicurezza) specifica come: “[…] Salvo quanto dispongono gli artt. 689 e 691 del codice penale, gli esercenti non possono senza un legittimo motivo, rifiutare le prestazioni del proprio esercizio a chiunque le domandi e ne corrisponda il prezzo. Le violazioni, ai sensi dell’art. 221/bis, comma 1 del TULPS, sono soggette alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 516,00 a euro 3.096,00.”
Il testo precisa inoltre “Parimenti, al fine di tutelare il decoro dell’esercizio ed in linea con la libertà di iniziativa economica sancita dall’art. 41 della Costituzione, è da ritenere “legittimo motivo” il rifiuto della prestazione ad avventori che non siano convenientemente abbigliati in relazione alla tipologìa dell’esercizio, tantopiù nei casi in cui determinate condizioni di accesso (es. obbligo della giacca e della cravatta) vengano rese note all’ingresso del locale con adeguati strumenti informativi.” Nel novero dei validi e legittimi motivi non rientra, chiaramente, la preferenza politica espressa nel corso delle ultime votazioni, in aggiunta bisogna considerare che il voto stesso è segreto e tale dovrebbe rimanere, così come non vi rientra l’orientamento politico in generale.”
Lo stesso principio non ammette libertà per l’ esercente in merito alla somministrazione o sospensione del proprio servizio in base all’abbigliamento del cliente, purché nei limiti della decenza e del decoro, oppure alla sua età anagrafica come, per esempio, nel caso dei ristoranti in cui non sono ammessi bambini.
La legge parla chiaro: no. Nessun esercente di un locale pubblico può vietare la somministrazione di un servizio a chiunque ne corrisponda il prezzo, fatta eccezione per l’esistenza di un valido motivo.
La replica della titolare: “Chi vuole è il benvenuto”
di Marino Ceci