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Arte & Cultura

Il genere “fantascienza” si deve alla mente di una donna.

Il monito di Mary Shelley verso le derive legate alla ricerca scientifica.

C’è stato un tempo in cui “con la scusa che i libri delle donne avevano un mercato più fiacco, gli editori dissuadevano le autrici dal firmare i loro libri”. Così scrive Serena Dandini nel suo ultimo libro dal titolo “La vendetta delle muse”, uscito con HarperCollins nel mese di novembre 2023. Aspetto che già abbiamo avuto modo di toccare con il caso delle tre sorelle Bronte, di cui al presente link. Qui però l’autrice accende i riflettori su un’antesignana e creatrice di un innovativo genere letterario. 

Si sta parlando del genere “fantascienza”, tanto in voga attualmente. Ebbene, strano ma vero, la mente da cui è fuoriuscito il caso letterario in grado di spiazzare la critica e conquistare il pubblico, è quella di una donna. O forse sarebbe meglio dire che l’ispirazione venne da un sogno, quindi dal materiale inconscio racchiuso nell’allora diciassettenne Mary Shelley. Nel viaggio onirico sembra che l’autrice abbia avuto un’apparizione significativa: un uomo che assemblava una creatura per poi dargli la vita. Ma andiamo per ordine: il celebre racconto di fantascienza intitolato “Frankenstein” nasce nel 1816 quando, citando Dandini “un gruppo di amici talentuosi e gaudenti si trova in vacanza sul lago di Ginevra. Piove a dirotto e il già mitico Lord Byron, per ingannare il tempo lancia una sfida”. Quale? Verrà spontaneo chiedersi.

La proposta indirizzata alla comitiva sembra sia stata questa: cimentarsi nella scrittura di un romanzo di fantasmi. Quindi un capolavoro del genere che nasce per gioco! Un “gioco” che però, per ironia della sorte, è diventato un pezzo di storia quando l’autrice fa rientro a Londra. Qui la Shelley infatti decide di sviluppare meglio la trama al punto che nel 1818 “Frankenstein” esce in forma anonima, per i motivi anzidetti. Poi però l’evidenza dei fatti impone un cambio di rotta. Il grande successo, ottenuto già dalla prima edizione, fa sì che il nome e cognome dell’autrice si “guadagnino” la pubblicazione in copertina. In altri termini, quello che oggi si chiamerebbe diritto alla paternità dell’opera, allora fu una vera e propria eccezione rispetto alla regola dell’anonimato o ancora peggio, dello pseudonimo maschile. Altro che diritto d’autrice!

Passando dalla veste formale al contenuto, gli aspetti innovativi e rivoluzionari non sono da meno. La cosiddetta “creatura”, creata dallo scienziato, non è infatti il prodotto di oscure forze del male, ma è frutto della ricerca scientifica. Una ricerca verso cui Mary Shelley si esprime in modo profondamente critico per tutta una serie di implicazioni. Una posizione che non può che fungere da monito anche in un’epoca, come questa attuale, in cui si fa un gran parlare di Intelligenza Artificiale o I.A che dir si voglia.

Di Maria Teresa Biscarini

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