Go! Baby go! è un’installazione artistica sulla difficoltà di vivere e il disagio giovanile, che esprime con forte immediatezza la devastante esperienza della droga.
Il ciclo scultoreo, ideato e realizzato dall’artista e fotografo umbro Remo Giombini, nasce dal ritrovamento di una vecchia fotografia di più di trentacinque anni fa: la foto di una giovane comitiva di amici, in cui era presente anche un ragazzo caduto nel vortice della droga.
«Sapevo tutto e niente di te» scrive l’artista, «per via di quella innata ritrosia che hanno i maschi a confidarsi, ma sapevo che già lottavi con un mostro più grande dei tuoi vent’anni».
Sì, perché a vent’anni si è dominati dall’illusoria convinzione di poter infrangere regole e schemi, di sfidare il mondo con la certezza di vincere, di giocare con il fuoco della propria esistenza… fino ad arrivare a perderla definitivamente, e forse, troppo spesso, ci si dimentica che «chi muore a vent’anni non è mai un eroe, ma resta per sempre un ragazzo».
A nulla sono valsi gli innumerevoli sforzi per cercare di smettere, gli psicologi dei centri di ascolto, i preti delle comunità di recupero, e in quell’età che doveva essere l’età della spensieratezza, continua Giombini «tu sognavi aghi che uscivano dal lampadario, siringhe che dilagavano dal cassetto del comodino, bambini con occhi appuntiti, angeli maledetti».
Incubi che si concretizzano su un piano materiale e tangibile e che vengono tradotti in arte, un tipo di arte che colpisce, denuncia, smuove le coscienze, smaschera le ipocrisie e induce a riflettere; quasi un unicum nel panorama artistico contemporaneo, provocatoriamente o, come in questo caso, dolorosamente diretta, mai arginabile. Un tributo «a tutti coloro che non ce l’hanno fatta a diventare adulti» e che a dispetto della loro faccia «impunita e strafottente» in apparenza, non sono riusciti a lottare contro un demone più grande di loro.
«Non ti ho più visto per lungo tempo, poi mi dissero che eri morto. Ti sei addormentato nel bagno di un bar, con quel sorriso beffardo anestetizzato dall’eroina… così te ne sei andato, ma stavolta per sempre!».
Ambra Belloni