La bassa velocità di riproduzione e la caccia stanno determinando una progressiva diminuzione del numero degli esemplari.
Circa 30000 anni fa gli equidi selvatici erano particolarmente diffusi. Le numerose pitture parietali di epoca preistorica sparse in tutto il mondo ne sono una suggestiva e importante testimonianza. Oggi, di essi, ne sono rimaste solo sette specie (tre tipi di asini, tre zebre e un tipo di cavallo) e gli esemplari tendono a diminuire progressivamente di numero.
Lo studio degli equidi selvatici ha messo in evidenza due stili di vita da essi attuati in base alla natura dell’habitat in cui vivono. In un ambiente piovoso e con ampia disponibilità di risorse, questi seguono la “strategia dell’harem”, mentre in un ambiente arido o comunque con poche risorse, attuano la “strategia territoriale”. La prima comporta la presenza di più
femmine che, grazie alla facilità di reperimento di acqua e cibo, riescono a vivere in gruppo, con la presenza tra esse di un unico maschio, che garantisce la riproduzione e la protezione dai predatori. La “strategia territoriale”, invece, vede ogni adulto vivere isolato, a causa della difficoltà di reperire nutrimento nell’ambiente. I maschi occupano ognuno uno
specifico territorio, permettendo l’accesso in esso per usufruire delle risorse solo alle femmine, con cui avranno la prerogativa di unirsi. Gli equidi riescono a generare per la prima volta solo dopo il quarto o quinto anno di età. La riproduzione avviene di rado a causa della difficoltà di reperire cibo ed acqua, dinamica che ha teso ad aggravarsi negli ultimi tempi a causa della competizione con l’uomo per l’accesso alle risorse. Un ulteriore elemento di difficoltà è rappresentato dalla caccia degli esemplari per fini alimentari o per rivenderne le pelli.
Un importante metodo per garantire la preservazione di questi animali dall’estinzione è la sensibilizzazione delle popolazioni locali. Caso esemplare sono gli Afar dell’Eritrea, pastori seminomadi che vivono in simbiosi con gli asini selvatici che occupano il loro territorio, permettendo loro di pascolare insieme alle greggi. In pochi anni questo approccio
ha condotto ad un’importante crescita del numero di esemplari presenti nell’area. Stessa cosa è accaduta in Mongolia, territorio che è stato soggetto a un reinserimento di takhi (specie di cavalli selvatici), che ha avuto ampio successo grazie all’appoggio della popolazione locale.
Le più recenti indagini degli zoologi sono volte alla comprensione approfondita dello stile di vita degli equidi selvatici al fine di attuare strategie efficaci per aumentare il numero degli esemplari presenti in natura. Prerequisito fondamentale per il successo è, però, il sostegno e la collaborazione con le popolazioni autoctone che è necessario sensibilizzare riguardo l’argomento
Glenda Oddi