Pare che le epidemie di virus nel mondo, anche la recente epidemia del Covid-19, siano strettamente collegate ai problemi ambientali e, con precisione, ai danni all’ambiente causati dall’uomo. Nello specifico, le deforestazioni, gli allevamenti intensivi, la caccia sfrenata e tutte le azioni umane volte a danneggiare fauna e flora hanno un effetto a catena anche sulle nostre condizioni di salute.
Da quanto ha dichiarato Mario Tozzi, divulgatore scientifico e geologo, infatti:
“I ricercatori partono da una semplice considerazione, che il minimo comune denominatore di tutte queste patologie è indubbiamente la trasmissione animale. […] Il 70 % delle Eid (Emerging Infectious Diseases, ossia malattie infettive emergenti) deriva da un’interazione più o meno diretta tra animali selvativi, addomesticati e sapiens […] In questo senso vanno tenuti in conto diversi fattori scatenanti e aggravanti”.
E di certo Tozzi non è il solo. A fine gennaio 2020 David Fickling diceva:
“Le epidemie sono un prodotto dell’urbanizzazione. Solo quanto gli umani iniziarono a stiparsi in città densamente popolate circa 5000 anni fa le infezioni furono in grado di raggiungere la massa critica necessaria per ucciderci in gran numero. Le epidemie di malattie in tutto il mondo che chiamiamo pandemie iniziarono ad emergere solo quanto la nostra civiltà umana divenne globale”.
E, se questo è vero, è anche vero che si tratta dell’evoluzione dell’umanità come specie. La globalizzazione era inevitabile, ma che viene accentuata dall’inquinamento, dai danni ecologici (come il rischio dei virus sotto ghiaccio liberati a causa del riscaldamento globale) e della poca attenzione, in generale, alla popolazione.
Domenico Attianese