Quando le persone hanno interesse a dare sfoggio della propria erudizione sbandierano opinioni andando a rovistare qualche nobile detto tra i grandi filosofi classici. Ma quando gli argomenti si restringono a tematiche a loro poco convenienti l’atteggiamento è differente. Prendiamo l’argomento che più di ogni altro sta a cuore agli animalisti, e cioè il rispetto per gli animali e la natura. I padri del pensiero filosofico erano per la maggior parte schierati contro il maltrattamento degli animali magnificando la bellezza della natura. Certo, dirà qualcuno, ci furono anche gli Accademici e i Peripatetici dello Stoicismo, ma anche gli Scolastici, o per fare nomi altisonanti Aristotele e Cartesio i quali non hanno mai avuto dubbi nel diffondere la piena supremazia dell’uomo sull’animale che si deve affermare con qualunque mezzo.
Platone insegnava che uccidere gli animali era sinonimo di ingiustizia, e questo favoriva una vita debosciata fatta di lussi sfrenati e di continue guerre. La costruzione della Città della Giustizia si imponeva, perciò, con riforme etiche, politiche e religiose che escludessero sacrifici di sangue, in conformità anche ad una alimentazione vegetariana. Nella Repubblica gli uomini si nutrono di orzo e grano, impastano farine per farne focacce e pani, «così passeranno la vita, come è naturale, in pace e in buona salute, moriranno in tarda età e trasmetteranno ai discendenti un sistema di vita simile a questo». Il grande pensatore ateniese morì a ottant’anni (428- 348 a.C.), e in quel tempo l’aspettativa di vita era molto più bassa.
Pitagora, il cui divieto di maltrattare e mangiare gli animali era fondato sulla credenza dell’esistenza e immortalità dell’anima in ogni corpo, consigliava a politici e legislatori di astenersi dal cibo animale «poiché, volendo costoro praticare in sommo grado la giustizia, non devono recare offesa a nessuno degli animali a noi affini. Infatti, come possono persuadere gli altri ad agire giustamente, quando essi stessi fossero dominati dallo spirito di sopraffazione?».
Secondo Empedocle non c’è distinzione tra corpo e anima, tutte le cose sono fornite di intelligenza e di pensiero e: «non potrebbe esistere un animale che fosse irragionevole». Sostenne inoltre che “la solidarietà con tutti i viventi è anelito struggente verso la totale armonia”. In lui la fine dell’orrenda strage di animali è l’inizio di una nuova civiltà.
Nel capolavoro di Plutarco Del mangiar carne – Trattato sugli animali, l’eccelso filosofo di Cheronea esorta l’uomo a vivere più felicemente «senza piatti pieni di pesci o di fegati d’oche, senza trinciare buoi e capretti, senza andare a caccia per uccidere animali indifesi, strappando la vita alle madri delle bestiole, ai piccoli, a tutto ciò che si muove». Tutto ciò, scrive, è pura crudeltà; ancor prima di essere ingiustizia, è irrazionalità, non-senso, mancanza di equilibrio. L’uomo «si pasce di carne rimanendone castigato con molte e lunghe malattie, quando in ogni stagione l’arte dell’agricoltura gli mette a disposizione frutta e seminati in grande abbondanza».
Nelle sapienti note introduttive del libro, a firma del prof. Dario Del Corno, Teofràsto scavalcando il pensiero di Aristotele, suo maestro, che attribuiva all’uomo l’assoluta egemonia sull’universo, sostenne che «uomini e animali fanno parte di una medesima koinonia, «comunità»; e pertanto, in nome di tale oikeiotes, «affinità», tra gli uni e gli altri deve intercorrere un rapporto fondato sulla giustizia, soprattutto come garanzia del diritto alla vita che appartiene a ogni essere dotato di sensibilità».
Bruno Cimino