Durante il lockdown le testimonianze storiche delle città d’arte erano completamente vuote dagli abituali assembramenti di turisti. È necessario ripensare la nuova fruizione delle realtà culturali e artistiche per rendere più sostenibile la visita turistica.
Il turismo italiano deve cambiare strategie economiche a seguito del Coronavirus, diventa necessario un ripensamento generale dell’offerta turistica. Se durante il lockdown le testimonianze storiche delle città d’arte si potevano apprezzare perché libere dagli assembramenti di turisti, è facile pensare che sarà proprio questa fruizione a subire un adeguamento per rendere più interessante la visita turistica. Dovevamo attendere Il Coronavirus per capire che le testimonianze storiche e artistiche devono essere gestite con un’organizzazione adeguata, proprio per favorire quel giusto apprezzamento? Se prima avevamo assembramenti e i monumenti non si potevano ammirare nel loro splendore, ora è giusto riprendersi ciò che abbiamo dimenticato e riformulare un nuovo turismo. «Il 20 aprile scorso – secondo i dati dell’Organizzazione mondiale del turismo – tutte le destinazioni turistiche nel mondo registravano restrizioni temporanee in risposta alla pandemia, 83% delle quali erano già in vigore da quattro o più settimane. Nessun paese ha finora allentato le restrizioni. Molti viaggiatori hanno riscontrato difficoltà a rientrare a casa, mentre le imprese turistiche stanno affrontando gravi problemi di liquidità a causa del numero ridotto di prenotazioni e dell’elevato numero di richieste di rimborso a seguito delle cancellazioni. Le compagnie aeree stanno affrontando una crisi senza precedenti». Con Sabrina Busato, Presidente della Federazione Europea Itinerari Storici Culturali e Turistici, cerchiamo di comprendere le azioni strategiche da proporre proprio per salvaguardare il turismo.
Il turismo quali cambiamenti deve adottare per competere sul mercato con il Coronavirus?
«C’è un nuovo mercato quindi è necessario capire quale sarà il nostro interlocutore del futuro. Il turismo è il settore probabilmente più vasto e frammentato, coinvolge indotti che non siamo in grado di calcolare completamente, si dava per scontata la sua crescita costante. Dopo il Covid-19 dobbiamo guardare nell’immediato all’unico turismo che può tamponare le enormi perdite di questi mesi: il turismo di prossimità. Perché è un turismo con minore capacità di spesa e con molte pretese, più complicato, non è sufficiente per integrare i numeri generati dal turismo estero. Ma è anche un turismo che possiamo fidelizzare, quindi in grado di sopperire a momenti di difficoltà come quella che stiamo vivendo; può fornire una base di lavoro di cui possono beneficiare soprattutto territori dove il turismo si è allontanato, borghi e aree interne che fino a qualche decina di anni fa erano meta delle gite degli italiani, oppure le aree rurali che grazie all’isolamento in cui sono vissute, oggi rappresentano degli spaccati di vita lontani dagli effetti della globalizzazione e dai nostri canoni contemporanei, ricchi di stimoli per i viaggiatori. Sarà importante riorganizzare la mobilità, una componente fondamentale per muoversi e raggiungere le destinazioni, senza stravolgerle. È fondamentale rivedere gli spazi, rigenerarli e ripensare a come condividerli. Molti edifici dismessi oppure abbandonati potrebbero trovare nuove funzioni, in una concezione di utilizzo degli ambienti che elimina concentrazioni di persone. Questo implica un nuovo modo di sentirsi parte della società, cambiando il modo di rapportarsi con gli altri e con i luoghi in cui ci muoviamo».
Puntare sul turismo domestico in che modo può essere una strategia da adottare?
«Puntare sul turismo domestico è una necessità più che una scelta, in quanto è l’unico turismo attualmente in grado di ripartire, visti i divieti imposti per fronteggiare l’emergenza del Covid-19. Possiamo fare in modo che questa necessità generi dei cambiamenti nei territori, favorendo la crescita di quelle realtà che finora erano costrette a rincorrere un adeguamento a flussi turistici in crescita vertiginosa, per riuscire ad intercettare qualche viaggiatore. Ora il panorama è cambiato, il turismo estero è fermo, lo sarà per un periodo abbastanza lungo, quindi possiamo solo pensare a tamponare i mancati guadagni, curando il turismo di prossimità. Penso però ai borghi ed alle aree interne, dove questo tempo sospeso può essere un’opportunità, per costruire un’offerta turistica vera. Tornerà la gita fuori porta, riemergeranno le vacanze in campagna ed in montagna come alternativa alla costa. È un’occasione che incontra la crescita della domanda di turismo lento e sostenibile già percepita prima dell’emergenza Covid-19; ora si è fatta più forte perché la quarantena ha permesso di riscoprire a tutti dei ritmi di vita più lenti e la bellezza delle relazioni umane, che sono il motore principale per chi cerca una vacanza slow: al di là delle mille esperienze che puoi fare in un territorio, se scegli di visitare un borgo o la campagna, cerchi tempo per te stesso e cerchi di stabilire delle relazioni con chi abita in quei luoghi. Non si può però pensare di costruire un’offerta turistica senza anima, questo è il grande lavoro che i borghi e le aree interne devono fare: imparare a collaborare con i territori circostanti, ragionando in termini più ampi, caratterizzandosi e valorizzando la propria identità (patrimonio culturale materiale e immateriale). In questo panorama, sta emergendo un ruolo importante svolto dalle cooperative di comunità che si stanno diffondendo all’interno di borghi e di piccole aree, svolgendo sia funzioni sociali sia di promozione del territorio; spesso sono cooperative che si occupano anche di accoglienza diffusa e diventano punti di riferimento strategici, perché partono dal presupposto di prendersi cura di un luogo per valorizzarlo come comunità, e questo è il concetto su cui dobbiamo lavorare per non disperdere il patrimonio culturale, ma farlo diventare il motore per una fruibilità più sostenibile delle destinazioni».
Francesco Fravolini