Proseguiamo la trattazione su bibite di fantasie, prodotti a base di tutto tranne che di quanto indicato. Questo e altro sarà chiaro con questo articolo e il precedente articolo sul tema che trovate nel portale.
Grazie ad una consapevolezza sempre maggiore, i consumatori sono sempre più inclini a comprendere le etichette dei prodotti alimentari che comprano.
Per quanto riguarda poi la dicitura “al sapore di…”, è lecito intenderla come una dichiarazione del fatto che il prodotto in questione non contiene l’ingrediente menzionato, ma solo il suo sapore, spesso ricavato sinteticamente. Un caso emblematico è rappresentato dalle “chele al sapore di granchio”.
Sono da considerare fuorvianti anche le scritte “con frutta” e “con succo di frutta”, spesso accompagnate da immagini accattivanti sulle confezioni, nelle quali di frutta ce n’è spesso molto poca. «Nel mondo delle bevande – spiega l’esperta – la quantità minima di frutta è fissata dalla legge in funzione della tipologia (nettare, succo, bevanda a base di) ma per il consumatore è difficile cogliere le differenze. Se non si legge l’etichetta ci si può ritrovare così a credere di acquistare un succo puro al 100%, quando invece si tratta di una “bevanda a base di succo”, che contiene soprattutto acqua, poi zucchero e solo il 20% di succo di frutta. Ci sono anche le cosiddette “bibite di fantasia”, in cui il gusto della frutta è ottenuto inserendone una quantità infinitesimale o con l’aggiunta di aromi che ne richiamano il sapore».
Oltre alle scritte, anche le immagini possono essere ingannevoli. Un caso particolare è rappresentato dal claim “uova da galline allevate a terra” accompagnato da immagini bucoliche di campagne e pascoli verdi, che lasciano intendere una dimensione molto più rosea di quella reale. «Quest’immagine è utilizzata dal marketing per suggerire l’idea che le uova in questione siano state deposte da galline libere di scorrazzare in spazi aperti, mentre in realtà la menzionata “terra” è solo quella che riveste il pavimento dei capannoni in cui sono allevati gli animali» conclude l’esperta. A tutela dei consumatori, negli ultimi anni sono stati emanati regolamenti sempre più stringenti, ma finché non verrà predisposto un sistema di valutazione omogeneo (almeno in Europa) per definire la conformità delle etichette e le rispettive responsabilità, spetta alle associazioni dei consumatori denunciare le eventuali violazioni del principio di trasparenza da parte dell’industria alimentare e promuovere una reale consapevolezza di ciò che si mette nel carrello.
Il miglior modo in cui i consumatori possono tutelarsi resta comunque quello di saper leggere correttamente le confezioni, valutando le indicazioni realmente significative, come la lista degli ingredienti e l’ordine (decrescente) in cui sono menzionati, ricordando che, in ogni caso, la lunghezza dell’elenco e la densità delle sigle è direttamente proporzionale al tasso di trasformazione dell’alimento in questione. È inoltre importante fare attenzione alle percentuali indicate, agli additivi, spesso introdotti per compensare eventuali “tagli di calorie” o per esaltare il sapore.
Resta importante sottolinere l’aspetto spesso sottovalutato della convivialità del cibo, funzione aggregativa e di socializzazione, non solo fonte di nutrimento. In tal senso non bisogna demonizzare nessun alimento specifico, piuttosto saperlo razionalizzare, consumare solo in alcuni casi o in piccole quantità. E’ importante imparare a non eccedere nel consumo di alimenti grassi o troppo ricchi di zuccheri o di sale. E in quest’ottica è importante ricordare come è uno stile alimentare, più che una breve dieta, che potrà avere un impatto significativo, non solo sul nostro giorovita ma anche sull’ambiente stesso: se posso mangiare pollo o proteine vegetali come lenticchie con limone, scegliere le lenticchie e lasciar vivere quel pollo senza farlo finire nel nostro piatto per dogmatica abitudine.