I millenari processi geologici che hanno interessato la terra si sono sempre intrecciati con le vicende delle civiltà umane. Questo è avvenuto anche nel Sahara libico interessato da importati cambiamenti climatici.
Un gruppo di ricercatori del King’s College di Londra e degli atenei di Leicester, Reading ed East Anglia hanno indagato il Fazzan, una regione libica comprendente una parte del Sahara, al fine di studiare la relazione tra i cambiamenti climatici che hanno interessato il deserto e la vita delle popolazioni che lo abitarono. L’indagine è avvenuta soprattutto sfruttando
la tecnica del telerilevamento, la storia conosciuta dei mutamenti climatici che hanno interessato la terra e le tracce archeologiche e geologiche rilevate in loco.
Nei siti presso cui anticamente sorgevano laghi e fiumi si sono rilevati resti di radici pietrificate e numerosi utensili, prova della presenza di una lunga storia insediativa iniziata nel paleolitico e di un ambiente molto diverso da quello attuale, caratterizzato da vegetazione diffusa.
A questi dati si sono aggiunti quelli forniti dal telerilevamento, che sfrutta le immagini satellitari, in cui sono chiaramente leggibili le tracce lasciate sul terreno da numerosi fiumi e laghi antichi.Dai risultati delle ricerche appare evidente come negli ultimi 200000 anni il Sahara ha alternato periodi aridi e semiaridi a periodi umidi, influenzando la presenza umana sul territorio. Il rinvenimento di oggetti litici presso gli antichi bacini lacustri segnala due differenti fasi di occupazione umana della regione in epoca preistorica. Durante la prima, le popolazioni che vi abitarono, furono dei cacciatori-raccoglitori che vissero nel Paleolitico tra 200000 e 70000 anni fa, in un territorio ricco d’acqua e di vegetazione. Seguì una fase arida tra i 70000 e i 12000 anni fa che portò alla scomparsa della presenza umana. Fu poi la volta di una nuova fase umida che durò fino a 5000 anni fa e che spinse l’uomo a ripopolare la regione durante il Mesolitico e il Neolitico. In seguito, quando l’area iniziò nuovamente ad inaridire, la popolazione umana fronteggiò il mutamento climatico continuando ad abitare il territorio, come attestano i rinvenimenti di tombe di pastori cronologicamente collocabili tra i 5000 e i 3000 anni fa. I pastori si trasformarono progressivamente in agricoltori, in quanto la sussistenza tramite la coltivazione è più facilmente gestibile rispetto al bestiame in un ambiente con scarsa vegetazione e acqua concentrata in poche aree. Il processo di adattamento alla progressiva desertificazione della regione raggiunse l’acme con la popolazione dei Garamanti, che ebbe vita tra il 500 a.C. e il 500 d.C. I romani la conoscevano e la descrivevano come costituita da feroci nomadi guerrieri. In realtà le fonti archeologiche mettono in
evidenza che fu una civiltà stanziale e che realizzò città dotate di strutture monumentali site presso punti d’acqua e presso i luoghi di intersezione delle piste commerciali che univano l’Africa a sud del Sahara con il Mediterraneo.
La sua capacità di far fronte ad un clima sempre più arido si basò sul fatto che le genti riuscirono a rifornirsi efficacemente d’acqua dalle falde acquifere sotterranee grazie ad un complesso processo di captazione composto da una serie di pozzi e gallerie. La civiltà dei Garamanti raggiunse il tracollo intorno al 500 d.C., quando le falde acquifere divennero troppo scarse e profonde per permettere la sopravvivenza nella regione di una società complessa e stanziale.
Glenda Oddi