Viaggio tra gli ultimi discendenti dei Maya

Negli altopiani centrali del Chiapas, stato meridionale del Messico, racchiuso tra l’Atlantico ed il Pacifico, ai confini con il Guatemala, abitano gli Tzotziles, ultimi discendenti diretti dei Maya. Nel 2000 erano circa 290.000, suddivisi in varie comunità all’interno di un territorio caratterizzato dalla presenza di montagne, burroni, valli, cascate e pianure ad oltre 2200 m di altitudine.
Il villaggio di San Juan Chamula, dal nome del santo protettore, è uno dei più facilmente raggiungibili. Il suo punto focale è la spianata su cui sorge la chiesa dalla facciata bianca con inserti di vividi colori verde e blu e al centro una croce, forse una stilizzazione dell’albero della vita dei Maya. Nel polveroso piazzale, ricoperto da tappeti variopinti, sotto ombrelloni colorati, si trovano banchi di vendita di pollame, tuberi, fagioli, tortiglie di mais ed altri alimenti semplici, presidiati da donne nei loro variopinti costumi tradizionali, con lunghe trecce nere e volto bruciato dal sole. Gli Tzotziles difficilmente si lasciano fotografare perché conservano un fondo di animismo. La chiesa è la rappresentazione tangibile di un sincretismo religioso tra le antiche credenze e il Cattolicesimo imposto. Si venerano, infatti, Gesù Cristo che si identifica con il Sole; la Vergine Maria che si associa con la Luna e la fertilità; San Salvatore è il dio creatore; la Terra è una divinità femminile mentre il dio della pioggia regna sul tuono, i monti, gli animali del bosco ed invia l’acqua per i buoni raccolti. I santi, considerati parenti di Gesù e Maria, vengono abbigliati con vestiti del popolo.

All’interno, sul pavimento, ci sono tantissimi aghi di pino, dall’intenso profumo, su cui camminare per rafforzare il contatto con la terra e non vi sono panche per sedersi. Alle pareti innumerevoli quadri raffigurano i volti di santi e le cantilene dei presenti riempiono l’ambiente. Lungo le fiancate della chiesa sono visibili, oltre ad una campana abbandonata perchè non ha dato l’allarme durante un incendio, alcune statue ad altezza d’uomo “in castigo” con la faccia al muro, mutilate o rovesciate. Si tratta di santi che, secondo la credenza popolare, non hanno vegliato adeguatamente o non hanno esaudito le richieste e, quindi, sono stati puniti nella loro effige. I fedeli si accomodano a terra, in ginocchio, e sistemano davanti a sé tantissime candele colorate, incollando la base al suolo con la cera sciolta. Si riuniscono in gruppi con il “curatore” e pregano per la protezione della propria famiglia, per combattere le malattie o il malocchio celebrando riti ancestrali con canti e veri e propri sacrifici animali. Alle galline viene tirato il collo dopo aver assorbito il male dai partecipanti. Al termine ognuno beve un forte liquore e bevande gassate come la Coca-Cola che favoriscono la fuoriuscita di spiriti maligni.In caso di malattie, causate da danni sofferti dall’anima, dall’azione degli esseri degli inferi o dalla mancanza di equilibrio tra il caldo e il freddo, si strofinano il corpo con le uova per purificarlo. Molto spesso ci si affida alle cure dello sciamano o dei vari stregoni che usano metodi magici.

Il cimitero, non troppo distante dal centro del paese, è popolato da croci di diverso colore: quelle verdi indicano la tomba di un curatore, le nere degli anziani e le bianche dei giovani. Le persone appartenenti alla stessa famiglia vengono seppellite assieme.

Bruna Fiorentino

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