Carnevale deriva dal latino “carnem levare”, ossia eliminare la carne. Un invito per i credenti che inizia con il mercoledì delle ceneri, sino a sabato santo. Invece, martedì, detto “grasso”, è l’ultimo giorno consentito per far baldoria come meglio si può, con sfilate di carri allegorici e balli in maschera.
Ogni regione italiana ha i propri costumi che affollano strade e piazze durante i giorni di carnevale. Ma la loro comparsa ebbe inizio sulla scena, con il teatro. Successe nel ‘500 quando si sviluppò la Commedia dell’Arte in cui molte rappresentazioni affidarono le caratteristiche dei personaggi a identità mascherate, ruoli imperituri, appunto, per raffigurare i vari soggetti di una commedia. Tanto per citarne alcuni, a Bologna c’è Balanzone (l’avvocato dal linguaggio strampalato), a Venezia troviamo Pantalone (avaro, burbero e vizioso) e Colombina (seducente e astuta servetta), fidanzata di Arlecchino (faceto, astuto e vivace) il quale, con l’antagonista Brighella (attaccabrighe, insolente e dispettoso), è di Bergamo. Invece Meneghino (estroverso e allegro) e Giacometta (domestica dal carattere forte e generoso), compagna di Gianduia, rappresentano Milano. Poi ricordiamo l’altrettanto celebre Pulcinella (servo pigro e opportunista) di Napoli, Stenterello (chiacchierone e pauroso) in Toscana, Lu Sfrigne (povero ma allegro), Rabachen e la sua compagna Cagnéra (dediti, rispettivamente, a far baccano e ai litigi) sono marchigiani, Giangurgolo (signorotto chiacchierone, ingordo e spavaldo) è una caricatura calabrese.
La lista delle raffigurazioni allegoriche carnevalesche italiane è ancora numerosa, tanto da coprire, come dicevamo, tutte le regioni italiane.
Sulle origini di questa festa i più indicano il periodo dell’Antica Roma, quando durante i Saturnali si festeggiava indossando delle maschere per praticare i riti pagani in onore del dio Saturno. Sebbene con differenti usanze anche altri popoli come gli Ittiti, i Fenici, gli Egizi, i Babilonesi, i Maya e così via glorificavano i loro dei con questo genere di ricorrenza, durante la quale nulla o quasi era proibito.
La maschera impediva il riconoscimento e pertanto con l’azzeramento delle classi sociali, ricchi e plebei si univano a banchettare abbandonandosi ad ogni sfrenato desiderio.
Ciò durò sino a quando l’imperatore Costantino bandì questa tradizione additandola come idolatra.
Durante il medioevo, poi, la festa incorporò il rito del rogo del fantoccio con il quale, se proprio non c’era lo zampino dell’Inquisizione, si intendeva bruciare il male e le negatività dell’anno trascorso che avevano infestato luoghi e persone.
Se Costantino aveva i suoi principi religiosi che lo dovevano confortare per abolire tale ricorrenza, al giorno d’oggi il tradizionale appuntamento del carnevale è in mano ad uso e consumo del business.
Sono numerosissime le feste popolari del carnevale nel mondo, ma quelle famose si svolgono a Venezia, Viareggio e Rio de Janeiro dove, sotto certi aspetti, si ricalcano o si tenta di riproporre tradizioni antiche.
Rimangono integre e imperiture le maschere teatrali celebrate dalla cultura immortale del palcoscenico.
Bruno Cimino