“Alle gatte dello spedale di Sant’Anna”: il sonetto di Torquato Tasso durante la reclusione in manicomio

Torquato Tasso si cimentò nel corso della sua vita in quasi tutti i generi poetici del tempo, ma mostrò, quasi sempre, una particolare propensione verso il sonetto.
Numerosi sono i componimenti relativi agli affanni del poeta e alla sua reclusione nell’ospedale di Sant’Anna (voluta dal duca Alfonso II), reclusione che in età romantica assunse addirittura una coloritura mitica.
Si parlava, infatti, di un Tasso in rotta con il brutale potere politico, infelicemente innamorato della sorella del duca di Ferrara…
Tasso folle, Tasso impazzito per amore, Tasso recluso in manicomio, Tasso fratello dei grandi incompresi (da Ovidio a T. Chatterton), Tasso in preda alle manie di persecuzione, ma fino a che punto tutto questo risulta essere vero? Le accuse rivolte al poeta furono reali o furono soltanto un mero calcolo politico per eliminare un personaggio divenuto troppo scomodo?
La risposta si trova a metà strada: se da un lato, infatti, le opere di Tasso manifestarono sempre una stupefacente lucidità, dall’altro è proprio lo stesso autore a parlarci in alcune lettere delle “proprie allucinazioni di malato”, delle oscure operazioni di incantatori o dei miracoli del folletto dispettosissimo (Sant’Anna, 30 dicembre 1585).
Il celebre poeta, in quegli anni, del resto, era solito descriversi con toni lirici esasperati, sfiorando consapevolmente «orridezze barocche» nutrite da quel triste luogo dell’oblio in cui era costretto a sopravvivere: «Sono fra mille pensieri avvolto, con occhi foschi e cavi, con membra immonde e brutte e cadenti ed asciutte…»
Di questo periodo colpisce, però, soprattutto un sonetto dedicato alle gatte che popolavano l’ospedale di Sant’Anna, denso di significati e troppo spesso lasciato dai critici nel dimenticatoio.
L’elogio della gatta, da sempre parte del repertorio della poesia burlesca del Cinquecento, assume con la scrittura di Tasso una valenza totalmente diversa rispetto alla tradizione, caricandosi di un senso estremamente profondo.
Gli occhi delle gatte rappresentano per l’autore il suo unico e ultimo sguardo sul mondo. Loro possono evadere da quelle mura di reclusione e di dolore, divenendo per lui “la personale finestra” che affaccia su una vita che non può più essere vissuta.
Sono le stelle che orientano «il nocchiero nella tempesta», un segno celeste e luminoso che guida il poeta verso l’evasione da quella complessa realtà; gli occhi delle gatte sono rispettivamente la sua «Orsa Maggiore e Minore», le «preziose sante lucerne» che illuminano le sue notti, consentendogli ancora, almeno, di scrivere:
«Così io mi volgo, o bella gatta, in questa fortuna avversa alle tue luci sante, e mi sembra due stelle aver davante!»

Ambra Belloni

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