Tamara de Lempicka: emancipazione e talento

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Come per tutte le grandi artiste, quella di Tamara de Lempicka è una storia triste e affascinante. Alla nascita Maria Gurwik-Górska, figlia di madre polacca e padre ebreo, conosce il lutto molto presto, con la morte prematura del padre, morto forse suicida quando era ancora bambina. La dipartita paterna costringe la giovane artista a vivere con la nonna Clementine e sarà con lei, nel 1907, anche il suo primo viaggio in Italia nelle principali città d’arte. Successivamente, sempre accompagnata dalla nonna, si trasferisce in Francia, dove impara i rudimenti della pittura in una cittadina delle alpi marittime e con lei avrà una formazione scolastica scaglionata, tra i continui spostamenti, prima in Svizzera e poi in Polonia. La morte di Clementine costringe di nuovo la pittrice, questa volta giovane donna, a trasferirsi dalla zia Stefa Jensen a San Pietroburgo. Qui conoscerà e conquisterà Tadeusz Łempicki, suo marito dal 1916.

La Rivoluzione russa esplode nel 1918, il marito viene arrestato dai bolscevichi ma, grazie alle conoscenze di lei, viene liberato. I due partono in Francia, dove nascerà la figlia nel 1920. Inizia un periodo tra i più duri dell’artista che, costretta a vivere da rifugiata, trova un lavoro come disegnatrice di cappelli e contemporaneamente inizia il suo percorso pittorico all’Académie de la Grande Chaumiere e dell’Académie Ranson. Qui, come per tutte le grandi persone dell’arte, in un mix di sofferenza e forte resilienza, esplode nel suo stile unico: forzatamente categorizzato come Art Dèco dalla critica, i suoi lavori sono in realtà fortemente cubisti ma immersi in un’aria classicheggiante e pacatamente elegante, creando un’atmosfera quasi metafisica ma rimanendo estremamente personale e individuale. In breve tempo viene scoperta dal pubblico e inizia la sua carriera da ritrattista col nome d’arte di Tamara de Lempicka. Divorzierà con il marito, forse proprio per la sua ascesa, nel 1928. 

Nasce, come dalle ceneri di una fenice, una donna unica, dalla forza temprata dalle esperienze difficili e tragiche del passato, apparentemente chiusa e glaciale, quasi invalicabile e dalla grande femminilità. Una donna che ricorda le dive immortali del cinema in bianco e nero, irraggiungibile e magnetica. Tamara sarà corteggiata invano dai più grandi uomini illustri del secolo scorso. Femminista, divorziata, artista, madre e dichiarata bisessuale: ogni sua caratteristica prende vita nelle sue tele, molte delle quali a soggetto femminile, bellissime, dallo sguardo fermo ma perso in un mondo di pensieri che non conosceremo mai; tutti ritratti ma in parte, tutti autoritratti, con la stessa essenza e caparbietà della donna che li dipinge.  

Gli anni trenta sono gli anni della mondanità: la donna, ormai di successo, entra in una vita di eccessi, fatta di feste, ritmi esagerati e cocaina. In questo periodo inizia la fase dei continui viaggi in Italia da Gabriele D’Annunzio che tenterà, senza riuscirci, di sedurla più volte. La mondanità però nasconde qualcosa, sarà proprio in questo clima di eccessi che inizierà a soffrire di una grave forma di depressione, che rifletterà nella sua nuova abitudine di dipingere di notte, da sola, spesso sotto effetto di sostanze.

Gli anni del Nazismo saranno decisivi per la sua carriera: la donna si trasferirà prima a Beverly Hills e poi a New York con il secondo marito, portando la sua arte e il suo estro con sé, come molti della sua epoca. Alla morte del marito sperimenterà la sua ultima fase pittorica, fortemente influenzata dall’astrattismo, con l’utilizzo della sola spatola. Le critiche aspre giudicarono i lavori non all’altezza dello stile precedente. La reazione della pittrice sarà decisiva: non avrebbe più esposto, e così sarebbe stato fino alla sua morte nel 1980.

Tamara de Lempicka rimane una delle figure femminili più emblematiche non solo del panorama artistico, ma storico di tutto il secolo scorso: riflesso di emancipazione e forza, di grinta e coraggio, che sono una donna può avere.

Elena Caravias

immagine:pitturiamo.com

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