Sonita Alizadeh è una cantante afghana che ha voluto testimoniare contro la cultura dei matrimoni subiti dalle ragazzine
Quando si parla di lotte per i diritti delle donne non si può (e non si deve) dimenticare la figura di Sonita Alizadeh. Nata a Herat in Afghanistan nel 1997, Sonita è una giovane rapper che, attraverso la musica, ha saputo sensibilizzare il mondo verso la drammatica realtà delle “spose-bambine”. Proprio lei a soli nove anni fu promessa ad un uomo molto più grande: in Afghanistan, se nasci femmina in una famiglia povera e numerosa, diventi un peso e sono tante le famiglie che vendono le bambine a uomini come fossero un genere commerciale. Il matrimonio organizzato per Sonita salta e la famiglia, per evitare la rappresaglia della cultura talebana, fugge in Iran. Qui la ragazza impara a leggere e a scrivere, mettendo in rima canzoni in versione rap, che parlano della triste realtà a cui sono sottoposte le giovani vite afghane. Ma l’Iran non è certo una nazione in cui i diritti sono preservati, anzi.. qui le donne non devono cantare e per Sonita Alizadeh entrare nel mondo della musica sembrerebbe un’impresa pressoché impossibile. E poi c’è dell’altro: la famiglia torna nel paese d’origine e preme affinché la ragazza, nel frattempo sedicenne, torni anche lei in Afghanistan per essere “data” ad un promesso sposo molto più grande di lei. In Iran Sonita conosce Rokhsareh Ghaemmaghami, una regista di documentari, iraniana, vincitrice del Sundance Award, che vede nella giovane profuga il simbolo dell’emancipazione femminile di questi territori, così martoriati da culture disumane. Convince i genitori di Sonita a desistere dal chiederle di tornare in Afghanistan, offrendo loro denaro. La regista Ghaemmaghami, con la ragazza, gira un documentario intitolato “Sonita”, dove viene descritta la storia della giovane, che vedeva l’Iran come un’oasi sicura lontana dal caos che è la sua vita. Nel documentario emerge come Sonita gridi la sua ribellione attraverso il rap e l’hip hop. Non solo: la regista dirige il video “Daughters for sale”, “Figli in vendita”, in cui la rapper canta frasi del tipo, “Le donne devono rimanere in silenzio. Questa è la tradizione della mia città. Io grido per rimediare al silenzio delle donne, lungo una vita”; e poi ancora, “Io grido a nome delle ferite inferte al mio corpo. Io grido per un corpo esausto chiuso in gabbia, un corpo che si è spezzato sotto il prezzo che vi avete impresso”, e inoltre, “ho quindici anni, vengo da Herat. Sono venuti per comprarmi e io sono sconvolta. Non riesco a capire questa tradizione. Vendono ragazze per denaro. Nessun diritto di scegliere”.
Parole che arrivano come sassate nelle nostre menti, che colpiscono la nostra attenzione, noi non ci rendiamo conto di cosa voglia dire essere costrette a sposarsi con una persona che neppure conosci. Venduta come un merce. “Come tutte le altre ragazze, io sono chiusa in gabbia. Come una pecora, allevata solo per essere divorata. Dicono che è giunta l’ora di vendermi (..)”.
Nel 2014, Alizadeh ha partecipato ad un concorso negli Stati Uniti per scrivere una canzone al fine di invitare il popolo afghano a votare alle elezioni. Con questo brano ha vinto un premio di 1.000 dollari, che Alizadeh ha inviato a sua madre in Afghanistan. Il suo prezzo, come “sposa ragazzina”, era stato calcolato in 9 mila dollari.
Ora Sonita frequenta l’American University di Washington e continua a scrivere canzoni, tra cui “Get Lost”, “United” e “Brave and Bold”.
Il suo è stato un prezioso esempio per tante ragazze che, nate in zone difficili del nostro pianeta, cercano il modo per salvarsi, attraverso l’emancipazione. Impresa ardua, troppo spesso drammaticamente impossibile.