Serghei Medvedev e la cultura della violenza in Russia

Le stragi di Bucha, la violenza verso Mariupol, le razzie, gli stupri, i furti, gli omicidi per divertimento e le torture. L’esercito russo in Ucraina sembra essere lì con l’obiettivo di essere il più violento e terrificante possibile, giustificando questa violenza con la sconfitta sovietica del nazismo, nel passato e nel presente.

Ma perché le azioni dei russi in questa guerra sono così violente? La spiegazione l’ha data, o ha tentato di darla, lo scrittore e analista politico russo Serghei Medvedev in un’intervista all’AGI. Un primo avviso è stato quello di non dare a putin quello che vuole, perché:

“Non si fermerà, dopo l’Ucraina non è escluso vada a cercare nei Paesi baltici altri presunti fascisti”. “Fascisti”, ormai tutti coloro che sono nemici della Russia sono fascisti. Ma come può pensare di reggere una guerra contro l’Europa, se nemmeno con l’Ucraina sola ha vita facile? Con la minaccia atomica? Come può un’intera nazione non vedere la realtà?

Per quello Putin ha fatto negli anni, in sintesi. Sostiene Medvedev, infatti, che :

“La Russia assomiglia alla Repubblica di Weimar, prova questo sentimento di offesa nei confronti del mondo esterno e su questo Putin ha creato una ‘politica storica’, che ha alla base la necessità di far tornare in qualche forma l’Unione Sovietica, con la spartizione delle aree d’influenza tra le grandi potenze e si è convinto che questo non sia possibile senza la distruzione dell’indipendenza, della statalità dell’Ucraina, suo principale progetto negli ultimi anni”.
Ovviamente la colpa non è solo di pPutin, “risale a molto prima, è legata alla stessa struttura della società russa, alla relazione tra l’essere umano e il potere e a quella tra le persone. Era così in Unione sovietica, purtroppo è un problema strutturale”.
Ma, adesso, c’è il problema reale della guerra. Il problema e le reali difficoltà della Russia nell’affrontare una guerra molto più complessa del previsto. Una violenza che non è efficiente quanto previsto, pare.

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