“Reali Case de’ Matti” il primo manicomio nel Sud Italia, ora un valore storico da recuperare

Fondato sulla scia dei moti illuministici francesi è stato il primo manicomio di Italia e forse anche il più importante vista l’estensione di quasi 20 ettari. E’ la Maddalena, l’ex manicomio civile di Aversa, a pochi passi dal centro della città normanna, nel Casertano. Ha una storia millenaria ma violentata dallo scempio e dallo stato di abbandono generale. La dilapidazione di denaro pubblico, di oggetti preziosi, di risorse storiche imparagonabili sono evidenti in ogni singolo angolo.

Il plesso fu fondato da Carlo I d’Angiò nel 1269, fuori porta San Nicola ad Aversa, come Hospitium Lebrosorum, su di una preesistente e ancor più antica cappella. Nel 1420 il convento fu occupato dai Minori Conventuali e 10 anni dopo l’aversano Iacopo Scaglione fece costruire un meraviglioso chiostro in piperno. Questo fu ampliato successivamente dal frate Angelo Orabona, arcivescovo di Trani, che aggiunse anche un pozzetto marmoreo con lo stemma del casato e affreschi alle volte dei portici con storie francescane. Nel marzo del 1813, i francescani occuparono il Convento di San Domenico e per volere di Gioacchino Murat, il plesso si trasformò in “Reali Case de’ Matti” del Regno di Napoli.

Fu il primo Manicomio del Sud Italia. Doveva essere un’eccellenza. Qui, arrivarono pazienti del Regno delle Due Sicilie e con le terapie di Giovanni Maria Linguiti divenne un esempio della psichiatria europea. Quando fu costruito, l’obiettivo era curare e salvare le persone. Poi è diventata una prigione per la mente di donne, uomini e bambini lasciati morire in quelle mura senza futuro e a volte senza memoria. Le cartelle cliniche sono andate quasi del tutto disperse negli scantinati e lungo quei corridoi in un susseguirsi di stanze tutte uguali si toccano con mano i destini persi di uomini e donne che fra quelle pareti sono diventati pazzi pur senza essere malati. Ci sono ancora, migliaia di storie negate di contenzione farmacologica e fisica. Si praticava elettroshock e cure sperimentali come l’iniezione di liquido staminale dei buoi nel corpo dei pazienti ed in qualche angolo segnate da scritte pare sentirne ancora le urla disperate. Nel 1978, la legge 180 stabilì finalmente la chiusura degli istituti psichiatrici per restituire dignità e diritti.

La proprietà è ora divisa tra l’Asl ed il Comune di Aversa che nel 2005 ha speso circa 2milioni di euro per acquistare la sezione del Leonardo Bianchi. Da progetto doveva diventare un incubatore sociale ma non è mai stato fatto niente. La struttura è inaccessibile ai cittadini, ad eccezione di alcuni uffici dell’Azienda sanitaria locale ivi compresa la Guardia medica. Nell’ex manicomio civile c’è ancora una biblioteca di libri del 600, molti in latino ed altri in lingua francese. Alcuni sono in copia unica e testi religiosi di grande valore eppure lasciati in preda a muffa e ai furti per commissione. In un’ala della sezione Livi sono nascosti o solo colpevolmente abbandonati, vecchi documenti urbanistici. Dall’antico campanile dell’antica Chiesa, attorno alla quale c’era il convento sono state rubate perfino le campane. Furti su commissione stanno portando via marmi, affreschi, testi antichi custoditi per il momento dalla caparbietà di alcuni cittadini e volontari.

A difesa della ex Maddalena sono nati dei comitati civici e da 10 anni i cooperatori della Fattoria Fuori di Zucca, realizzata in una piccola parte del parco dell’ex manicomio, fanno da sentinelle denunciando incursioni, saccheggiamenti e sciacallaggio vario.  Per salvare il destino dell’ex manicomio, si è costituito il comitato e poi la Fondazione ‘La Maddalena che vorrei’, formata da volontari, studenti, professionisti, architetti, ingegneri, storici e docenti che hanno deciso di invertire la rotta. Il progetto è di curarne la riqualificazione, preservarne la memoria storica e restituirlo alla collettiva come bene comune secondo il principio della sussidiarietà orizzontale già sperimentata in altre città italiane.

Tina Cioffo

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