PARTO, FELICIA KINGSLEY SCRIVE A GIORGIA MELONI E AL MINISTERO DELLA SANITÀ. NEL MIRINO IL ROOMING-IN IMPOSTO

Dopo la tragedia del neonato morto al “Pertini” di Roma si sono accesi i riflettori sul parto e il post-parto. 

Felicia Kingsley, celebre autrice romance, ha scritto al Presidente del Consiglio Giorgia Meloni e al Ministero della Sanità una lettera aperta dopo aver raccolto testimonianze di diverse mamme.

Nel mirino della scrittrice anche il “rooming-in” che, a suo avviso, viene imposto a molte neo-mamme quando dovrebbe essere facoltativo.

A testimonianza di ciò ha di recente pubblicato sui suoi canali social la “Lettera alle future mamme” dell’AUSL di Modena in cui oltre a dare indicazioni sul parto scrive che è loro “abitudine effettuare il rooming-in totale, 24 ore su 24”. L’AUSL scrive anche che il rooming-in è “una delle scelte caratterizzanti del reparto” giustificando come non si tratti di “una scelta di comodo”, ma sia “una scelta basata sugli studi scientifici che evidenziano come sia fondamentale il rapporto mamma-neonato fin dai primi momenti di vita”. “Non è quindi una scelta di comodo, anzi… Riuscire a gestire un gruppo di neonati distribuiti in un elevato numero di stanze comporta un impegno per il personale nettamente superiore a quello necessario in un normale nido. Quindi non è una scelta di comodo, bensì un impegno più gravoso accettato dal nostro personale per il benessere dei bimbi e per uno sviluppo armonico delle famiglie”, prosegue l’AUSL che conclude il paragrafo dedicato al rooming-in affermando che “se poi, soprattutto di notte, una mamma andasse un poco in crisi, o perché il bimbo piange, o perché è troppo stanca, il personale si adopererà per venire incontro alle sue esigenze”.

Ma, ritornando alla lettera della Kingsley, che riportiamo di seguito integralmente, l’autrice ha scritto sotto al post contenente la lettera che “L’idea iniziale era scrivere a un giornale”, ma che alla fine non ha proceduto all’invio a una testata in quanto “alcune testate sembrano essere ritenute di questa o quella parte” e non voleva che le sue “parole fossero strumentalizzate politicamente.” “Il mio unico interesse – dichiara la Kingsley – è arrivare alle persone che possono davvero cambiare la situazione”.

Si attendono dunque gli esiti di questa lettera che non vuole rimanere inascoltata.

Lettera al Ministero della Salute e al Presidente del Consiglio

Scrivo da donna, da libera professionista, da mamma perché la tragedia del Pertini di Roma mi ha fatto capire che non posso più tacere.

Poiché questo Governo ha espresso più volte l’intenzione di favorire le famiglie e la natalità, per sostenere davvero le prime e potenziare le seconde credo che si debba partire proprio dalle politiche sanitarie che riguardano la gravidanza, il parto e il post-parto.

In particolare, queste politiche devono rimettere al centro il libero arbitrio della donna, che troppo spesso le viene tolto in queste fasi delicate della propria vita, portando avanti l’obsoleta narrazione della madre-martire che deve soffrire, perché sempre così è stato.

Io stessa, sebbene assistita in quello che sono certa essere stato il meglio che poteva offrire la struttura in cui ho partorito, ho avuto la percezione di non essere più padrona del mio corpo.

Quando parlo di libero arbitrio, questo è ciò che intendo:

  • Partendo dall’attualità, che il rooming-in possa essere una scelta della puerpera, non della struttura (in teoria è già facoltativa, in pratica vieni spedita in camera con il bambino senza che nessuno si preoccupi delle condizioni in cui sei), e se la donna chiede che il neonato sia tenuto in nursery, non venga guardata con rimprovero né qualcuno cerchi di dissuaderla. Riconoscere di aver bisogno di riposo è una scelta responsabile.
  • Che l’epidurale sia garantita sempre ed effettivamente (tanti reparti sostengono di

garantirla, ma solo a parole) e che sia praticata alla partoriente (se le condizioni cliniche lo consentono) quando la chiede, senza attendere che sia spezzata in due dal dolore.

  • Che l’episiotomia sia praticata quando necessario (dietro consenso) senza aspettare

drastiche lacerazioni naturali difficili da suturare, in modo da restituire alla donna un apparato genitale esterno che possa farla sentire bene con sé stessa. È necessario riconoscere che la donna resta tale anche una volta diventata madre.

  • Che il taglio cesareo non sia sempre e solo una extrema ratio, e non puntare al parto naturale a ogni costo.
  • Che venga chiesto alla puerpera che tipo di allattamento preferirebbe condurre,

artificiale o al seno, senza imporlo. Nel caso in cui scelga l’allattamento al seno, che sia assistita senza essere fatta sentire incapace, con pazienza e fornendole tutte le nozioni necessarie. Nel caso preferisca l’allattamento artificiale, nessuna opera di dissuasione o giudizio: è il suo seno, è il suo corpo, è il suo bambino.

  • Che ogni reparto di ostetricia disponga di uno psicologo che possa assistere al bisogno le puerpere in quello che è un momento di importante transizione, a rischio di depressione e paure. La serenità di una famiglia passa anche dal benessere mentale dei genitori.
  • Che le puerpere possano sempre fare una doccia quando ne sentono la necessità.

Sembrerà assurdo ma molte riportano di non averne avuto la possibilità, costrette a

restare sporche per giorni.

  • Che in ogni reparto di ostetricia disponga sia obbligatoria la presenza di una vending machine con bottigliette d’acqua. Per esperienza, nell’ospedale in cui ho partorito io, in reparto non era possibile avere una bottiglietta d’acqua al di fuori di quella del pasto, a meno che non la procurasse un parente in orario visita o scendendo al bar (non tutte le puerpere possono muoversi dal letto). Per fare latte, serve acqua. No acqua, no party.

Ho delle proposte come donna, non solo mamma.

Mi è stata diagnosticata l’endometriosi nel 2018 e dietro consiglio della ginecologa, come terapia, mi è stata prescritta la pillola anticoncezionale, salvo poi scoprire che non era coperta dalla mutua.

In Italia, l’endometriosi colpisce tra il 10 e il 15% delle donne, per loro la terapia non è una scelta è una necessità.

Per questo motivo la pillola anticoncezionale, quando prescritta come terapia di patologie diagnosticate, sia coperta dalla mutua.

  • Che l’organico di ogni ospedale pubblico includa almeno il 50% di medici non-obiettori di coscienza, così che l’interruzione di gravidanza sia sempre assicurata, quando richiesta. Le leggi dello Stato italiano non sono un menu à la carte da cui scegliere quali applicare e quali no, quando si esercita in una struttura pubblica.

Del “Si è sempre fatto così” si muore, e la lunga storia della maternità è lastricata di morti di madri o bambini, ma grazie al progresso, al buon senso e alla collaborazione, si può sempre fare di meglio.

Quando si decidono le best practice da applicare, è necessario poi il confronto con chi queste best practice le subisce, per capire se funzionino davvero, non solo in termini di bilanci e budget.

Oggi più che mai alle donne, a tutti, dev’essere sempre garantita la facoltà di scelta (effettiva, non solo teorica) libera da condizionamenti ideologici, perché nel 2023 la tutela del libero arbitrio è ciò che contraddistingue una democrazia.

Nella speranza che queste mie parole non cadano nel vuoto,

F.K.

Francesco Natale

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