Oriana Fallaci, la giornalista combattente che sfidò il cancro

 Oriana Fallaci è stata inviata di guerra e ha contribuito ad una vivace dibattito geopolitico

Da ragazzina fu partrigiana, al fianco del padre; terminata la seconda guerra mondiale diventa una delle più grandi giornaliste, certamente italiane, ma apprezzata tantissimo anche a livello internazionale. Oriana Fallaci nacque a Firenze il 29 giugno 1929, in una famiglia che le insegnò ad essere antifascista nel periodo storico più tragico del secolo scorso. 

Il suo primo articolo su un giornale di tiratura nazionale venne pubblicato nel 1951, sull’Europeo; poi andò negli Stati Uniti, per realizzare un servizio sulla vita mondana dei divi di Hollywood:  è il 1956 e Oriana entra nell’incantato mondo dei vip americani, racconta i segreti e i meccanismi che, senza scrupoli, dominano un contesto che in Italia immaginavamo splendido e fatato. Da questa esperienza nasce il suo primo libro, “I sette peccati di Hollywood”.

Poi è la volta de “Il sesso inutile”, una pubblicazione che nasce dalla volontà di descrivere la condizione della donna nel mondo, dal Pakistan all’India, da Hong Kong al Giappone, per arrivare negli Stati Uniti, in cui incontra, “un mondo di uomini deboli, incatenati a una schiavitù che essi stessi alimentano e dalla quale non sanno liberarsi”. Siamo nel 1961. 

Oriana Fallaci è poi cronista, inviata di guerra: per l’Europeo va in Vietnam, a seguire un conflitto che sta dividendo l’opinione pubblica mondiale. Lei sembra dare torto a tutti, quasi a voler sottolineare che la guerra è ingiusta e deplorevole, da qualsiasi punto la si guardi. “La guerra è un infanticidio rinviato di 20 anni”, dirà in un’intervista degli anni settanta, ancora scossa dai giovani morti nel Vietnam. 

Nel 1973 conosce Alexandros Panagulis, uno dei leader nella resistenza greca contro la dittatura dei colonnelli; Alexander è  appena uscito dal carcere dopo violenze e torture subite per diversi anni, proprio per la sua avversione al regime guidato da Georgios Papadopoluos. Tra Oriana e l’oppositore nasce un grande amore, finito con la morte del rivoluzionario nel 1976. 

Nel 1990 esce il libro “Insciallah”, ambientato ai tempi della guerra in Libano negli anni ottanta, evento in cui la Fallaci fu presente come inviata. Il titolo fa riferimento all’invocazione araba “Inshallah“, che vuol dire “se Dio vuole”.

Subito dopo va in Kuwait a seguire la così detta Guerra del Golfo: è testimone di un conflitto tra Iraq e Kuwait considerato il primo evento bellico del villaggio globale: “questa era una guerra che pensavamo di conoscere in ogni dettaglio, considerando l’impatto mediatico tramite la Tv, in realtà la televisione offre solo degli istanti del conflitto e ciò non ha reso l’idea di ciò che stava accadendo”, dichiarò alcuni anni dopo. 

Nel corso degli anni novanta Oriana Fallaci inizia ad avere approcci molto critici nei confronti del fondamentalismo islamico, culminati e diventati sempre più aspri dopo l’11 settembre 2001, quando iniziò ad aderire alle teorie del pericolo dell’“Eurabia”, un approccio politicamente di destra che, attrverso speculazioni ideologiche complottiste, avvertiva del rischio di una volontà, da parte del mondo arabo, di “invadere”, soprattutto dal punto di vista culturale, l’Europa. 

Oriana Fallaci diventa sempre più una giornalista (o meglio un’intellettuale) divisiva, che polarizza l’opinione pubblica tra pro e contro le sue teorie geopolitiche. 

Lei tira dritto, senza curarsi delle critiche e quasi snobbbando gli elogi. Il suo approccio, fermo e deterimato, lo dimostra anche (se non soprattutto) quando scopre di avere il cancro: “appartengo ad una generazione che ha paura ad usare la parola cancro, si preferisce parlare genericamente di malattia incurabile. Io invece voglio dire che ho il cancro, esplicitare questo termine mi da la possbilità di esorcizzarlo”.

Da donna inviata nei conflitti bellici, paragonò il tumore proprio alla guerra: “una guerra tra me e il tumore, con  lui che vuole ammazzare me e io che voglio ammazzare lui”. 

Morì nella sua Firenze il 15 settembre 2006, lassciando un’eredità straordinaria di libri e articoli, di riflessioni e dibattiti, apprezzati anche da coloro che al tempo la contestavano. 

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