Il live-action di “Mulan” sembra essere nato sotto una cattiva stella.
Innanzitutto la pellicola avrebbe dovuto debuttare il 2 novembre 2018, ma poi venne rinviata per favorire l’uscita di un altro titolo Disney: “Lo schiaccianoci e i quattro regni”.
La sua uscita era stata quindi fissata nuovamente al 27 marzo 2020 per le sale cinematografiche americane, ma con l’arrivo della pandemia tale data è slittata ulteriormente: prima si era parlato del 24 luglio, poi del 21 agosto, finché la casa di Topolino non decise di lanciarlo sulla propria piattaforma streaming Disney+ a partire dal 4 settembre, al costo esorbitante di 30 dollari (21,99 euro per l’Italia).
Nel corso del suo travagliato debutto, l’opera si era già attivata diverse perplessità e critiche per via della scelta del lancio via streaming che ha ulteriormente penalizzato il settore del cinema e del prezzo troppo alto.
Ma le polemiche più aspre sono iniziate quando l’attrice Liu Yifei, che interpreta la protagonista, ha manifestato apertamente il suo sostegno alle forze di polizia di Hong Kong proprio in un periodo in cui le proteste stavano iniziando a raggiungere picchi di violenza inaccettabili.
È così che è stato lanciato un primo hashtag #BoycottMulan per boicottare la pellicola. L’attrice non ha presenziato alla prima esclusiva del film del D23 Expo, probabilmente per salvaguardare la sua sicurezza.
Il film è stato accolto positivamente da una parte della critica che ha apprezzato la bellezza visiva e gli effetti speciali, mentre l’altra metà ha criticato questa trasposizione più fedele alla storia originale e più attenta al politically coirrect perché ha perso il vero messaggio femminista presente della versione animata.
Nel lungo metraggio d’animazione, infatti, vediamo un’eroina che indossa le vesti maschili paradossalmente proprio per potersi sentire libera di essere sé stessa e che una volta tornata alla sua reale identità si rende conto che nessuno le dà più ascolto proprio perché è una donna. Nel live-action, invece, abbiamo una Mulan che non solo indossa gli abiti maschili per compiacere un padre che avrebbe voluto avere un figlio maschio.
E ora il film attira su di sé accuse ancora più gravi.
Alcune scene di “Mulan” sono state girate nella regione Xinjiang, per cui la Disney ha pensato di inserire nei titoli di coda dei ringraziamenti rivolti a sei agenzie governative operanti in quel territorio. Il problema è che in quelle terre il governo sta mettendo in pratica da anni un genocidio ai danni della minoranza di etnia uiguri, con tanto di campi di concentramento e rieducazione forzata.
Il senatore statunitense Joshua David Hawley ha scritto una missiva a Bob Chapek, amministratore delegato della Disney, accusando l’azienda di “mascherare il genocidio degli uiguri e di altre minoranze etniche musulmane durante la produzione di Mulan”.
Hawley chiede quindi il ritiro del film dal catalogo “per evitare di glorificare ulteriormente i funzionari e le agenzie del PCC responsabili delle atrocità nello Xinjiang”.
Infine pretende di sapere che tipo di assistenza hanno ricevuto gli studi della Disney dele agenzie del partico comunista coinvolte nel genocidio e che tipo di ricompensa hanno percepito.
La posizione della Disney è aggravata dal fatto che l’amministrazione Trump lo scorso ottobre aveva messo in lista nera proprio l’ufficio di polizia di Turpan e altri corpi di polizia dello Xinjiang citate proprio nei ringraziamenti, proivbendo alle società statunitensi di fornire o vendere loro servizi e prodotti.
Anche l’attore Simu Liu, che interpreterà il primo supereroe cinese dell’MCU “Shang-Chi”, si aggiunge al coro delle critiche contro “Mulan”, accusando la pellicola di fornire l’ennesima visione stereotipata dei cinesi.
Yami