La casuale scoperta di un sito geografico senza nome ha condotto ad una interessante ritrovamento archeologica nel Nord del Perù.
Nel corso della sua pluriennale esperienza di ricerca nel territorio andino, l’archeologo Mario Polia, ha scoperto l’esistenza di una collina senza nome nella località di Cerro di Aypate, nel Nord del Perù. Questa particolarità lo ha portato a dedurre che il luogo doveva aver esercitato una particolare suggestione presso l’antica popolazione locale che, negandogli una denominazione, doveva aver così tentato di farlo scomparire dalla memoria storica o comunque cercato di evitare che venisse nominato. Il fatto suggeriva dunque una particolare sacralità dell’area o un suo carattere nefasto.
Iniziò così il processo di scavo. In un primo momento si rinvenne uno spesso strato di argilla, sigillo tradizionale delle sepolture presso le antiche popolazioni andine, che aveva la funzione di impedire al defunto di abbandonare il mondo dei morti per tornare tra i vivi. Più in profondità emerse il corpo dell’inumato, con le spalle addossate alla parete della
sepoltura, i gomiti sulle ginocchia, le mani sulla fronte, a emulazione della posizione fetale, volta ad alludere alla morte come ritorno del defunto nel ventre della madre terra e dunque ad un processo di rinascita nel mondo ultraterreno. Il corpo era orientato verso la montagna sacra di Aypate, oggi, come nell’antichità, considerata sede di divinità. L’analisi
antropologica ha indicato che il soggetto era un uomo adulto con una robusta muscolatura che soffriva di artrosi. Gli oggetti di corredo hanno fatto datare la sepoltura a circa 2000 anni fa. Al suo collo sono state rinvenute due collane costituite da vaghi realizzati da conchiglie importate dall’Ecuador, caratterizzate dal fortissimo colore rosso. Il loro ampio
rinvenimento nelle antiche sepolture andine attesta i traffici commerciali dell’epoca ed è legato all’impiego di esse come simboli di vita in relazione al loro colore e alla loro origine acquatica. Le antiche popolazioni locali, infatti, veneravano la Mamaquacha, cioè la Madre Acqua, una sorta di grande madre cosmica. Tra gli altri elementi rinvenuti nella sepoltura ci sono: circa 500 dischetti di rame, resti della decorazione di una tradizionale veste sacerdotale e dei denti di puma o giaguaro, simbolo del potere sacro. In un profondo foro scavato a lato della sepoltura è stata rinvenuta una punta di rame, unico resto di un antico bastone magico, che gli abitanti del posto vollero porre in profondità nel terreno per il timore che il suo potere, dopo la morte del suo proprietario, potesse danneggiarli.
Il rinvenimento da parte di Mario Polia di questa sepoltura in Perù non ha rappresentato solo una importate scoperta storica in un territorio ancora poco indagato a livello archeologico, ma anche una rilevante testimonianza antropologica, dato che gli elementi impiegati nella sepoltura e i rimandi sacri in essa rinvenuti (come i denti di giaguaro, il bastone sacerdotale e le collane di conchiglie) trovano una diretta continuità d’uso tra gli sciamani contemporanei della regione.
Glenda Oddi
Bibliografia: Mario Polia, “Il sacerdote della collina senza nome”, in Le Scienza, n.410, 2002, pp.64-70.