by Bruno Cimino
Sarebbe più corretto dire che a Marinaleda, in Andalusia, l’Utopia immaginata da Tommaso Moro è a buon punto. E dato che sir Thomas More, due mogli e sei figli, dal 1935 è anche santo per volere di papa Pio XI, ci sarà anche la sua benedizione.
Non è forse vero che i politici delle guerre fine mai, presenti in ogni nazione sono realtà che tengono in scacco il mondo? Ebbene, dall’isola di Utopia, ambientata da Tommaso Moro nel 1500, gli andalusi di Marinaleda, piccolo comune nella Spagna meridionale, di appena 2700 anime, hanno tratto il meglio, si sono liberati dalle carceri della politica e vivono in pace e in armonia, liberi dalla paura, dall’oppressione e da ogni sofferenza, in cui le persone sono colte ed educate e le proprietà sono in comune.
Ovviamente non tutto è successo dall’oggi al domani. Per diversi anni vi furono occupazioni, scontri politici con i giudici, con la Guardia Civil, con il Governo e soprattutto a causa dell’incomprensione di tanta gente che credeva questi rivoltosi dei pazzi i quali si erano messi in testa una chimera e pertanto che tutto era destinato al fallimento.
Il primo luogo ad essere stato occupato, in varie fasi, fu la fattoria El Humoso, ma per altrettante volte gli occupanti venivano ricacciati. Compresero così che per lottare contro il potere ci voleva un altro potere che si confrontasse con quello centrale.
Dopo diverse azioni democratiche che videro i cittadini del luogo partecipare ad incontri, dibattiti e manifestazioni, ci furono le elezioni del 1979 con le quali conquistarono la maggioranza per amministrare. Questo non fu sufficiente e, quando tutto sembrava volgere alla resa, seguirono anche azioni rivoluzionarie con protagoniste innanzitutto le donne lavoratrici che si recarono a Siviglia per protestare contro il Governo andaluso presieduto da Rodríguez dei Borbolla.
Serviva tanta autonomia per iniziative sociali e popolari e avere terre da coltivare.
La costanza e il credere ad un ideale che aveva al centro il diritto alla casa e al lavoro, senza sfruttatori né sfruttati, non potevano fallire, sicché arrivarono i primi riconoscimenti.
Gli espropri si susseguirono uno dopo l’altro e con la piena occupazione arrivarono i primi risultati economici e di benessere per tutti i cittadini, ognuno dei quali aveva la propria abitazione (tra l’altro prevista dalla Dichiarazione Universale per i diritti dell’uomo), e culturali con il recupero delle tradizioni.
Marinaleda oggi è un comune autogestito, senza polizia né disoccupazione. I rapporti tra cittadini si basano su valori come la solidarietà, la generosità e lo spirito collettivo.
In ogni settore il successo è il risultato di tanto lavoro, sia in campo industriale che economico. La sede comunale è dotata di tutti i mezzi economici e questo grazie ai bilanci sempre in attivo rispetto alle gestioni passate.
“La gioia è un diritto del popolo”, dicono i residenti e “il denaro non può essere inteso per formare classi di ricchi e poveri, quest’ultimi ritenuti uno spreco sociale”.
È questa la comunità di Utopia immaginata da Tommaso Moro? Più o meno.
Di sicuro c’è da investigare sulle motivazioni che hanno indotto la chiesa di Roma a destinare San Tommaso Moro patrono dei governanti e dei politici: per tale beneficio spirituale c’è voluta una bella faccia tosta. Per concludere, dobbiamo purtroppo ammettere che è difficile scommettere sul futuro di questa “isola felice”. In agguato già da qualche anno si aggirano persone ciniche, spregiudicate e senza scrupoli intenzionate a sfruttare questo miracolo solo per le proprie tasche. Ma se questo nobile esperimento sociale è riuscito vuol dire che l’Utopia non è un sogno. |