Lo smarrimento culturale è un disagio sociale e personale che caratterizza in maniera marcata la nostra epoca, questo nostro memento di confusioni ideologiche, di aggressioni e plagi mediatici anche da parte dei politici. Un’epoca, la nostra, di informazione non sempre libera, di contaminazione del pensiero, di esaltazioni estreme dove si avverte più che mai l’esigenza di una guida. Ed ecco che scendono in campo leader, personaggi dall’aria fresca e rassicurante, che ci tranquillizzano, sottolineando le nostre mancanze, i nostri bisogni, le nostre sofferenze, le nostre rassegnazioni.
Indignazione, rabbia, sconforto, sono i sentimenti più marcati per fomentare rivolte e non riflessioni, decisioni drastiche e non approfondimenti. Nel frattempo, l’apatia provocata da un sistema di comunicazione tanto immediato quanto simile ad un’ipnosi, si espande a macchia d’olio, privandoci della possibilità di pensare, di creare, di essere protagonisti del nostro stesso presente.
Apatia, pigrizia, debolezza, diventano in questo modo i pilastri di un popolo assopito e spogliato della propria storia, dei suoi ricordi, della sua stessa identità intesa, non come iscrizione all’anagrafe, ma come bagaglio di esperienze, emozioni, conoscenze, profondità dell’intelletto.
Il vero disagio non è dunque rappresentato dalla precarietà meramente economica, ma da tutto quello che la rende possibile. Anche per questa ragione si assiste a forme di isolamento prive di un sostanziale rifugio alternativo, sia da parte dei giovani che non trovano contesti di espressione e realizzazione personale, sia da parte degli adulti, immersi in religioni new age o alla ricerca di chi li possa orientare in qualcosa di vero.
Molto diffusa è l’ostilità nei riguardi degli intellettuali, considerati a volte perbenisti o manchevoli di capacità pragmatiche, forse perché si discostano dal sistema che trascina le folle come greggi, rimanendo puri nella loro preziosa potenzialità, quella di restare lucidi e di vedere in profondità i meccanismi nascosti che governano la nostra esistenza.
Eleonora Giovannini