Gli interventi farmacologici sul Covid-19, il punto della situazione

La scarsa conoscenza delle caratteristiche del virus porta a procedere per tentativi

Perché un farmaco risulti efficace contro un virus è necessario conoscere la struttura del virus stesso, questo spiega perché si parla di tempo necessario per trovare una cura o un vaccino. In assenza di una terapia specifica, dunque, si percorre la via della sperimentazione sul campo, quella dei tentativi fatti nei nostri ospedali in base all’esperienza dei medici e alle prime informazioni che arrivano dai laboratori di ricerca. Si lavora dunque per prove ed errori in assenza di un’alternativa valida. In Cina è stato impiegato l’interferone-alfa assieme con Ritonavir e Lapinivir, mescolanza di farmaci utilizzata solitamente per trattare l’AIDS. Spesso impiegata anche la sola combinazione di Ritonavir e Lapanivir, in virtù del fatto che si era dimostrata efficace contro la SARS. Utilizzata con un certo successo anche la combinazione di Ribavirina (che inibisce la sintesi dell’RNA del virus) con l’inibitore della trascrittasi inversa (enzima che permette al covid-19 di trasformare il suo RNA in DNA) Emtricitabina e il Tenofovir alafenamide fumarato; anche questi sono farmaci impiegati per l’HIV. Il parere dei medici è contrastante riguardo l’impiego delle soluzioni farmacologiche sopra proposte, in relazione alla scarsissima conoscenza del virus che si ha ancora attualmente. Sembra invece avere maggiore fiducia dalla comunità scientifica il farmaco Remdesivir, perché impiegato con successo contro l’ebola, che ha dei tratti comuni con il coronavirus. La generale condotta ospedaliera impiegata è quella che vede usare farmaci ad ampio spettro (Favipiravir,Camostat mesilato, Baricitinib ecc.) proprio in relazione al fatto che ci si sta muovendo in un terreno poco conosciuto.

Glenda Oddi

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