«Conquista, grandiosa impresa dadaista per il cui riconoscimento interverremo con tutti i mezzi. L’atlante mondiale dadaistico “Dadako”, riconosce Fiume già come città italiana. Club Dada»
In occasione della conquista di Fiume e della grande avventura intrapresa dal poeta Gabriele D’Annunzio, il club Dada berlinese invia con orgoglio il seguente telegramma al Corriere della Sera.Il 12 settembre del 1919, la città di Fiume, contesa tra Regno d’Italia e Jugoslavia, viene annessa all’Italia attraverso la ribellione di un fronte politico prevalentemente nazionalista (2.600 uomini in tutto) guidato dal poeta D’Annunzio.
L’occupazione durò complessivamente sedici mesi, mesi nei quali si sperimentò l’occupazione politica di massa, il cosmopolitismo, il recupero del passato come mito, l’economia pirata, e il contrabbando di armi e alcolici. La studiosa Claudia Salaris, nel libro “Alla festa della rivoluzione”, ha definito Fiume come un microcosmo cosmopolita, un «crocevia di culture sospese tra Occidente e Oriente», mettendo in luce gli aspetti più trasgressivi dell’impresa fiumana, troppe volte ignorati dai tradizionali manuali di storia contemporanea.
Soffermandoci sul fenomeno della vita- festa, tra danze, taverne, cocaina, spettacoli e giochi guerreschi, appare facile comprendere come la rivoluzione a Fiume non fu, quindi, soltanto di carattere politico, ma anche esistenziale.
Festa come sublimazione di iniziativa politica, dunque, ma anche come sinonimo di ribellione e liberazione di energia attraverso danze sfrenate, gite, banchetti, risse, utilizzo di droghe e alcool. Ne furono più che mai convinti Filippo Tommaso Marinetti (esponente del Futurismo) e il performer Guido Keller, che a Fiume praticò il nudismo travestito da Nettuno.
Un progetto globale e libertario, destinato, però, a svanire proprio a causa dell’estremismo che trascinò con sé. Significative, a tal proposito, le amare parole dell’intellettuale Mario Carli, cacciato da Fiume per i suoi innumerevoli eccessi:
«Ricordavano di tanto in tanto di essere dei poeti e riconoscevano (ma senza rimorso) di aver sognato, per gli innumerevoli mediocri che avevano attorno, un sogno troppo alto: un’impresa di energia e di fantasia, di cui i troppi seguaci che si dichiaravano fedeli non avevano compreso una sillaba».
Ambra Belloni