“Il cancro è un dono” è l’espressione di Nadia Toffa che ha scatenato l’ira del giornalista italiano Filippo Facci e di molti lettori, che l’hanno interpretata come dichiarazione superficiale e manchevole di rispetto nei riguardi dei malati che lottano per vivere, oltre che di quelli deceduti a causa della malattia.
Quando c’è di mezzo la parola dono, inevitabili sono le conseguenze legate a reazioni che si riferiscono forse più all’originario nobile sentimento che al messaggio in sé, probabilmente perché l’amore sortisce irritazione, in questa nostra epoca che teme il sapore delle emozioni e che si alimenta più facilmente dello stupore. La distorsione di un messaggio, specie se ad alimentarla è un personaggio pubblico, diviene aggressione con incredibile facilità, in particolar modo sui social, quel terribile campo minato in cui tutto sembra essere concesso in nome della presunta libertà di pensiero. Così, una giovane donna che ha condiviso la sua malattia e che l’ha saputa trasformare in risorsa per vivere, viene sentenziata come sciocca e superficiale. D’altronde già in tempi lontani, lo stesso Thomas Mann ci metteva in guardia sulla perdita dell’umanità, intravedendo quella sorta di deviazione della parte più importante che caratterizza la persona: lo spirito, il respiro vivo del pensiero che rende possibile la profondità intellettuale e quella creativa. Nadia Toffa ha vinto una malattia importante, ma è stata ugualmente ferita senza remore, perfino dagli stessi lettori che l’avevano sostenuta. Eccola la società cui apparteniamo, un groviglio malpensante di menti apatiche e violente, poiché fino a prova contraria è Nadia Toffa che è stata colpita da un tumore e non chi l’accusa di offendere i malati come lei. La stessa ha scritto un libro che certamente insegna qualcosa di alto, più di tanti altri libretti inutili e spesso generati malamente da persone inutili, soprattutto incapaci sia di contribuire alla crescita della cultura, che di sentire, di ascoltare, di capire, non ultimo di amare.
Eleonora Giovannini
Immagine tratta da “il fatto quotidiano”