Le maschere funerarie sono sempre state una parte essenziale dei corredi funerari degli egizi, di tutte le classi sociali, dai nobili ai contadini, differivano la qualità e il valore dell’oggetto, ma la loro funzione era sempre la stessa: rappresentavano un ritratto del defunto, che costituiva un passaporto per l’aldilà.
Già nel 4000 a.C., in una tomba appartenente a membri dell’élite, furono ritrovate delle maschere in ceramica, che riproducevano un volto umano.
La faccia era di forma triangolare, presentava degli orifizi sulla bocca e sugli occhi, ed era rifinita con una punta sotto il mento, che poteva rappresentare la barba.
Su entrambi i lati, vicino alle orecchie, ci sono dei fori, per consentire la collocazione sul viso.
Non è chiaro se rappresenti una divinità o se si tratti della prima maschera funeraria umana, ma a partire da questo, il resto delle maschere egizie che sono giunte fino ai giorni nostri erano usate per le cerimonie funebri.
Uno dei motivi del loro utilizzo è legato al concetto di morte che avevano gli egizi.
Il corpo, perché fosse in grado di viaggiare nell’aldilà, era necessario che rimanesse intatto, per questo i cadaveri venivano mummificati prima di essere riposti nei sarcofagi.
Essendo però il volto coperto con delle bende, questi rischiava di non essere riconosciuto dai giudici dell’aldilà, per questo nacquero le maschere funerarie.
Esse rappresentano il vero volto del defunto e servivano da lasciapassare per il paradiso degli antichi egizi.
Il colore dorato della maschera era dovuto alla concezione che gli antichi egizi avevano delle divinità: le immaginavano con carni d’oro e capelli di lapislazzuli.
Benedetta Giovannetti