Un modo nuovo ed originale di celebrare la grandezza umana e non solo artistica di Vincent Van Gogh (1853-1890) è quella dell’attore Blas Roca Rey che, dal 13 al 23 febbraio 2020, porta in scena, al Teatro Brancaccino di Roma, Le lettere di Vincent Van Gogh a Theo, produzione Nutrimenti Terrestri, un monologo di sessantacinque minuti nel quale vengono scandagliati i meandri misteriosi e affascinanti dell’animo dell’incompreso pittore olandese.
Blas Roca Rey, interprete e regista, con l’accompagnamento del magico maestro Luciano Tristaino, flautista, offre, alternandosi elegantemente tra il leggio e la sedia, alcune delle circa sessanta lettere scritte da Vincent al suo adorato fratello Theodorus, mercante d’arte, l’unico a credere ciecamente nelle sue capacità, che lo supportò anche economicamente nonostante i momenti di attrito.
Lo splendido artista peruviano, che da circa quarant’anni si divide tra teatro, cinema e televisione, intervistato da Full d’Assi Magazine, ha ripercorso la scaturigine di questo suo progetto, che da tempo lo insegue, ossia mettere in scena, attraverso una rivisitazione intima e personale delle lettere di Vincent, il connubio stupendo tra i due fratelli Van Gogh. Così, alternando la lettura alla recitazione e interpretazione di queste toccanti testimonianze, emerge la personalità magmatica di Vincent, uomo solitario, isolato, incompreso, tormentato, alienato dalla realtà circostante fino al gesto estremo. Straziato dal dolore Theo, già cagionevole di salute, cadde in un profondo stato di apatia che, dopo soli sei mesi, lo portò alla morte.
E non solo. Roca Rey ci rivela che nel mentre, si dipanano le parole del monologo, si materializzano i contenuti, prima sfocati e poi nitidi, di quattro significativi quadri dello sfortunato pittore olandese che fungono da scenografia e ci confessa di sentirsi intimamente partecipe con Vincent che nella sua “urgenza” quasi catartica di dipingere ripercorre la propria intima ”urgenza” di esprimersi nell’arte. Ed ecco la nascita di questo monologo che propone l’energia vitale, quasi indomabile di Vincent, la consapevolezza, a volte straziante, di essere diverso dagli altri in tutto, in particolare nell’uso dei colori, faticosamente raggiunto in anni e anni di studi e schizzi e nella volontà, testarda, ostinata, di reinventare la realtà, di ridarcela attraverso la lente fantastica dei suoi occhi.
Il non rassegnarsi alla totale indifferenza del mondo verso i suoi quadri, il ripartire mille e mille volte ancora verso un futuro che sperava, prima o poi, si sarebbe accorto di lui, nonostante la miseria, gli stenti, la mancanza di cibo sino alla sua lenta ed inesorabile discesa verso la pazzia, costituiscono la sua vita, quella di un artista arso vivo dai suoi meravigliosi fuochi d’artificio.
Bruna Fiorentino