Le frustrazioni di un cronista

Di cose da scrivere e descrivere ce ne sono fin troppe, le notizie non sono nemmeno più tanto inedite e l’effetto ansa si fa sentire più sui social che nei giornali, tanto è vero che il compito del cronista non sembra più quello di far conoscere un avvenimento, ma di presentarlo al pubblico in maniera accattivante, con dentro quel pizzico di sale fatto di provocazione, di originalità.

A caratterizzare una notizia, che in realtà significa “rendere noto un fatto”, (dal lat. notitĭa(m), deriv. di tus ‘noto’), è in realtà l’effetto che produce, il sentimento possibilmente forte, la reazione del lettore. Si tende non ad informare, ma a generare emozione, lasciando quindi intendere che in questo senso l’onestà e l’obiettività del cronista hanno un peso rilevante sulla qualità del messaggio. Vero è che il giornalista, non lavora all’interno di un contesto facile, a metà tra la carta stampata e il web, dove le aggressioni legate all’informazione determinano spesso confusione, distorsione e soprattutto l’impossibilità di scrivere con una certa libertà. La libertà, quella prerogativa fondamentale che conferisce entusiasmo, passione, dedizione, ma che purtroppo viene a volte penalizzata da una dimensione precostituita (corrotta?) che pretende di considerare il giornalista uno strumento alla mercé di interessi economici o politici. Ecco come nascono le frustrazioni di un cronista, costretto ad analizzare continuamente il contenuto dei propri articoli non in funzione della loro utilità, ma per evitare di ritrovarsi nei guai. Dunque cosa è importante? scoperchiare le pentole o curarne il contenuto così come ci viene presentato?

Vi sono cronisti che hanno dato la vita per la verità, altri che hanno subìto condanne ingiuste per aver lavorato con coscienza e senza paura. Questo va ricordato.

 

Eleonora Giovannini

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