Le denunce come fonti di reddito

Innegabile ammettere che in Italia sono davvero innumerevoli le persone che considerano la denuncia un pretesto, un’occasione per ottenere soldi attraverso l’alibi della sete di giustizia. Questo avviene in tutti i contesti, iniziando da quello politico, dove le caricature del sistema si confrontano tramite accuse per screditare gli antagonisti pubblicamente e così guadagnare punti. Gli stessi cittadini risentono del plagio a mezzo stampa e talvolta prendono posizioni in branco, a seconda della forza comunicativa preponderante.

Si chiama stalking giudiziario, caratterizzato dalla volontà di ledere il proprio avversario strumentalizzando perfino la legge. E dato che la legge italiana risulta spesso essere una creta malleabile ad uso personale, tutto ciò non rimane cosa difficile da realizzare. C’è poi chi esagera e utilizza la querela un mezzo per garantirsi  guadagni assicurati, facendo appello ad una giustizia ormai oltraggiata nel suo sacro intrinseco valore, per soli vili scopi. Le caserme pullulano di denunce per diffamazione, per ingiurie, per persecuzioni, presentate soltanto come pretesto di lotta contro il nemico. In tutto questo,  determinante è senza dubbio il ruolo dei legali, che probabilmente dovrebbero indirizzare i loro clienti verso una scelta più ragionevole, dimostrando di esercitare il loro lavoro onestamente e non come una partita a scacchi, spesso ledendo gli interessi delle persone che hanno preso in carico. Questo genere di persecuzione è in forte aumento, nonostante la depenalizzazione di molti reati. Riguarda tutti i cittadini, dalla casalinga al presidente di una associazione, dal professionista alle lotte in famiglia. Dal dipendente licenziato, al frustrato vittima della propria  invidia verso chi non riesce a raggiungere e per cui sembrerebbe disposto a scendere a patti col demonio, per  acquietare quel profondo turbamento legato alla sua condizione di fallito, tramite mezzi illeciti. Ancora una volta siamo di fronte alla manipolazione della verità, in funzione di un unico obiettivo: colpire la preda scelta, calpestare gli innocenti.

La duplice valenza di questo comportamento diffuso è in primis il raggiungimento di un obiettivo determinato dal rancore o dal puro desiderio di vincere una partita, in secondo luogo distruggere la reputazione altrui, se non lo stato emotivo che nelle persone fragili sfocia talvolta  perfino in suicidio. Occorre riflettere profondamente sull’immoralità e sull’amoralità di soggetti disposti a tutto pur di danneggiare  il prossimo. La radice rivela un’essenza eticamente malata, dove i principi morali sono all’ultimo posto, mentre al primo persistono le occasioni ghiotte di immeritato  guadagno.

Eleonora Giovannini

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