Le bellezze della Sardegna: un dolce per ogni occasione (e non solo!)

di

Marino Ceci

La cucina sarda riflette la sua cultura plurimillenaria e stratificata, tanto ricca da riflettersi nell’ ampia varietà gastronomica. A seconda dei territori variano nomi, forme e dettagli delle ricette.

La celebre seada o sebada, di origine barbaricina, le Sebadas o Seadas, sono ormai un piatto tradizionale di tutta l’Isola. E’ un dolce da friggere e servire con l’aggiunta di miele. Simili ad un grande raviolo, le Sebadas sono formate da due dischi di pasta fatta con la semola fine, strutto e acqua, ed un ripieno di formaggio acidulo aromatizzato con scorza di arancia o limone. Il gusto caratteristico è dato dal contrasto del dolce del miele (miele di corbezzolo) e l’acidulo del formaggio al suo interno, da servire calda e croccante. Questo piatto, nato come piatto salato da portata da un’idea delle donne barbaricine, affonda le sue origini nell’antica cultura agropastorale, quando i pastori, rientrati a casa dopo la lunga stagione fredda che li aveva costretti a una sorta di esilio fra le montagne, facevano ritorno a casa accolti dalla famiglia con le semplici manifestazioni dell’affetto popolare che raggiungeva la sua massima espressione nella preparazione di piatti particolarmente saporiti.

Perfetti per tutte le occasioni sono i biscotti di Fonni, simili ai savoiardi ma più morbidi e profumati al limone o vaniglia. Nel Campidano prendono il nome di pistoccus. Per prepararli occorrono uova, zucchero e farina. 

Ideali per colazione sono is pistoccheddus grussus, biscotti secchi, leggeri e friabili. L’origine è nei paesi attorno al Monte Linas, dove sono chiamati gallettinas. 

Per merenda, una torta di ricotta o un antico dolce, su papai biancu, già noto nel Medioevo a Cagliari: un budino al latte dolcificato con mandorla e limone.

I dolci a basa di sapa allietano varie occasioni di festa nella tradizione isolana. Si tratta di un succo di fico d’india (o d’uva) cotto, di colore marrone e dal sapore gradevole.

Fra le specialità, ricordiamo il “pane ‘e saba”, dolce diffuso in particolare nel Campidano di Cagliari e nel Nuorese. Caratterizzato dal colore scuro del vino cotto, è intensamente fragrante, composto da farina bianca, lievito e “sapa” (un liquido ottenuto dal vino di uva fatto raffinare in cottura) e uva passa. Gli ingredienti possono variare con l’aggiunta di frutta secca (solitamente noci). La forma della pasta può essere romboidale, rettangolare e anche circolare. Altra specialità è il “pistiddu”, dolce tradizionale proveniente da una antica ricetta culinaria di Dorgali. Di forma tonda e di colore giallo paglierino al ripieno di sapa realizzato in occasione della festa di Sant’Antonio Abate, è solitamente accompagnato da vino rosato di Dorgali.

La preparazione dei dolci fatti in casa è spesso legata a festività o cerimonie.

Immancabili in tutte le celebrazioni sono gli amaretti, croccanti e profumati. Sono fatti a base di mandorle, dolci e amare, miscelate secondo una precisa proporzione. Come sua variante, nel nord Sardegna, all’impasto di mandorle, albumi e zucchero si aggiunge la sapa, il ‘vincotto’ che accomuna tutti i dolci di Ognissanti. A iniziare dal pan’e sapa, antico esempio di pane ‘trasformato’ in dolce, diffuso nel basso Campidano e nel Nuorese. È caratterizzato da lunga lievitazione, colore scuro e sapore intenso di mosto cotto e cannella, con forma circolare, come una torta. Connessi al primo novembre sono sos ossus de mottu (ossa di morto), accanto ai sos pabassinos (nel centro-nord) o is papassinus (nel sud), i quali nascono come dolci autunnali, ma sono preparati ormai per tutte le occasioni. Il nome origina da papassa, l’uva passa che addolcisce l’ impasto di farina, uova, strutto, mandorle e noci. Questi biscottini di pasta frolla dal sapore inconfondibile sono ricoperti di glassa e cosparsi di confettini argentati o spennellati col tuorlo prima della cottura. Nel Campidano sono aromatizzati con cannella, vaniglia o sapa, nelle Barbagie e Logudoro con scorze di agrumi, semi di finocchio selvatico o anice.

Anche sas tiliccas sono dolci novembrini, originarie del centro-nord, oggi diffuse ovunque con vari nomi, tra cui spiccano le celebri caschettas di Belvì. Una sottilissima sfoglia croccante di pasta violada avvolge un ripieno di mandorle e miele (o sapa), con scorza d’arancia e zafferano. Le forme variano dal ferro di cavallo al cuore, spirale o lettere. A Dorgali e Mamoiada si preparano per i fuochi di sant’Antonio, insieme a un’altra delizia: su pistiddu, con ripieno di sapa tipico anche delle copulettas, dolcetti di Ittireddu e Ozieri, dalla caratteristica forma a fiore o mezzaluna. L’origine è legata a matrimoni e battesimi: si incidono sopra le iniziali degli sposi o del bimbo battezzato.

Tipico del Natale è il torrone, morbido e dolcissimo. Tonara è la sua patria. Le prime notizie de su turroni tonaresu risalgono a fine XIX secolo, col tempo è diventato una specialità diffusa a livello nazionale. Il torrone è un delizioso panetto a base di miele, albume d’uovo, scorza di limone e mandorle o noci tostate. La sua etimologia deriva dal latino “torrere”, che significa “tostare”. I più rinomati centri di realizzazione sono concentrati a Tonara, Aritzo, Guspini, Desulo e Pattada. In realtà fino all’Ottocento si ha notizia di una specifica tradizione torronaia solo a Tempio, Pattada e Mamoiada, mentre ancora non viene ricordata Tonara, oggi centro principe per questa produzione dolciaria. Solo nell’ultimo quarto del secolo si hanno le prime notizie su un’attività lavorativa del torrone tonarese, diventato col tempo una specialità affermata e conosciuta in tutta l’Isola e trasformando questo paese nella capitale sarda per la produzione di questo dolce tipico. Elemento caratterizzante del torrone sardo, rispetto a quello degli altri centri italiani, è il miele nelle sue tante qualità.

Mentre a Oristano si preparano is mustazzolus, mostaccioli a forma di rombo, morbidissimi, con aroma di cannella e limone, ricoperti di glassa. Sono forse il più antico biscotto sardo, peculiari per la lunga lievitazione, che durava due settimane, caratteristica che li differenziava dai mostaccioli della Penisola.

In occasione della Settimana santa, la tavola si arricchisce di dolcezza, bontà e fantasia.

A Pasqua si sfornano casadinas. Il nome proviene da casu, il formaggio fresco e ‘deciso’, usato nelle Barbagie e nel Logudoro per il loro ripieno, insieme all’ uva sultanina. Nel Sassarese e in Gallura sono note come casgiaddine e casgiatini (formagelle). Nel Campidano e nel Sulcis è più comune l’uso delle ricotta al posto del formaggio, aromatizzata con limone e zafferano, senza uvetta. Il nome è sas pardulas, ‘piccoli cestini’ di pasta sottile con dentro un morbido ‘cuore’ e sopra una spolverata di zucchero a velo. Tipici campidanesi sono anche is pirichittus, frolla all’uovo ricoperta di croccante glassa aromatizzata al limone. L’interno può essere vuoto, nei pirichittus de bentu o pieno di pasta di mandorle nei pirichittus prenus o a matza de mindua. Simili sono is pistoccheddus de cappa o incappaus, ricoperti da una glassa bianca. Sono modellati in varie forme: i più celebri sono is pistoccheddus di Serrenti, con forme di animali. Per Pasqua si preparano anche con le uova, una versione dolce de su coccoi cun s’ou, un pane di varie forme arricchito con uova sode. Noti anche come marigosos, suspiros, giarminos e gesminus, i bianchini (o bianchetti) assomigliano alle meringhe di altre regioni ma se ne discostano per gusto e consistenza. Si presentano come una piramide mossa e increspata, bianca e friabile, dal ripieno tenero e cremoso. Si ottengono montando ‘a neve ferma’ gli albumi con zucchero, limone e mandorle. Poi sono adornati con confettini argentati o colorati.

“A Carnevale, ogni frittura vale” potremmo dire della Sardegna. Is zippulas, le zeppole del Campidano, sono deliziose frittelle di forma allungata, con base di zafferano e buccia di agrumi, aromatizzate con vernaccia. Diventano sas cattas nelle Barbagie, li frisjoli nel Sassarese e frisgioli longhi in Gallura. Variano per ricetta e forma is parafrittus o frati fritti (chiamati per errore fatti fritti), tondi col buco al centro. A volte le frittelle sono ripiene di crema o miele con profumo di filu ‘e ferru o abbardente. Gustosissimi sono sos rujolos, palline fritte al formaggio, tipiche del Nuorese. Ruioli, arrubiolos, orrubiolus sono le varianti di nome e territorio. Il nome richiama i ravioli e ritorna in prelibatezze del sud: is cruxioneddus de mindua sono ravioletti fritti con ripieno di mandorle, a volte sostituite da crema o ricotta. Specialità legata al mondo agropastorale, specie all’allevamento domestico del maiale, sono is culingionis de sambene dulche, che custodiscono un ripieno di sanguinaccio (sangue di maiale dolce). I più amati dai bambini sono li acciuleddi, originari della Gallura: pastella fritta a forma di treccina, ricoperta con miele (o zucchero) e coriandoli colorati. In alcune località diventano mangadagas o trizzas, simili a spaghetti impregnati di miele, ripiegati e arrotolati fino a diventare una treccia. Simili sono le orillettas, una versione sarda delle chiacchere di altre regioni, originarie della Baronia ma diffuse ovunque.

I dolci destinati alle cerimonie quali battesimi, cresime e matrimoni, sono vere e proprie opere d’arte, decorate ad hoc dalle abili mani de sas drucceras, le casalinghe-pasticcere. Esempio sono is pastissus, preparati nel Cagliaritano: pastine di sfoglia sottilissima con farcitura morbida alle mandorle. Abbelliti da decorazioni floreali dette s’indoru, sono chiamati per la loro raffinatezza anche pastine reali. A Borore, nel Marghine, diventano capigliettas, nell’alto Oristanese timballinas. Un senso di solennità emanano is candelaus, dolcetti alle mandorle a forma di candeline o scarpette, usati per battesimi, cresime e matrimoni. Immancabili nelle cerimonie sono gueffus (da guelfi) o sospiri, palline di pasta di mandorla dal sapore raffinato e corposo, cosparse di zucchero e avvolte come caramelle nella carta colorata. Nelle Barbagie esiste una versione ridotta: sos bucconettes (bocconcini), con nocciole anziché mandorle. L’aranzada accompagna battesimi e matrimoni barbaricini, esaltando il gusto dell’arancia con dolcezza del miele e croccantezza delle mandorle. Capolavori di mandorle, al profumo di limone, sono i gattò (o catò), citati da Grazia Deledda e lavorati anche in composizioni monumentali. Sos coriccheddos (cuoricini) sono dolci-gioiello di Nuoro, così come i durches de s’isposa  che la sposa riceveva in dono da suocera, madre o madrina. Il miele, protagonista indiscusso dei dolci barbaricini, è usato anche nel Goceano, per esempio in sos pinos, pastelle tonde lavorate col miele e fritte.

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