L’assolo di Pogacar alla Liegi e quel ciclismo di altri tempi

È la più antica delle classiche monumento del ciclismo e la seconda corsa in assoluto dopo la Milano-Torino. La Liegi-Bastogne-Liegi è soprannominata la “Doyenne”, la Decana, proprio a sottolineare la storicità della gara belga. E antico sembra il modo di correre dei campioni di questa generazione, con grandi imprese realizzate tramite attacchi lontani dal traguardo. Lo ha fatto Van der Poel al Fiandre e alla Roubaix e lo ha fatto Tadej Pogacar alla Liegi 2024 (come anche Evenepoel due anni fa in questa monumento). Specialista anch’egli di queste di queste fughe solitarie, lo sloveno ha vinto nel modo atteso: attacco a 34 km dal traguardo, sulla Cote de la Redoute e vuoto dietro di sé. Ha chiuso con un minuto e mezzo su Romain Bardet e due minuti sul gruppo regolato in volata da Van der Poel. Pogacar aveva già trionfato alla Strade bianche a inizio stagione con un attacco addirittura a 80 km dalla fine. 

Uno stile di corsa che era normale in altri tempi del ciclismo, da prima ancora di Coppi a Bartali e più recentemente fino a Merckx. Negli ultimi decenni invece il livellamento dei corridori ha reso una rarità questo modo di correre. 

Più diffusi nelle gare a tappe, dove però di solito coinvolgono generalmente atleti lontani in classifica, queste vittorie a lunga gittata sono uno splendido esempio di coraggio e follia ma anche di forza rispetto agli avversari. Il rischio però è di vedere corse sempre più prevedibili e quindi meno spettacolari: se queste imprese sono indubbiamente roboanti, alla lunga rischiano di diventare scontate nei tempi e nei modi. Per questo motivo diventa importante che in queste competizioni prestigiose quali le classiche monumento, siano presenti tutti i big in contemporanea per avere battaglia fino al traguardo almeno tra i grandi campioni di questo periodo.

Daniele Capello

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