Diversi territori realizzano le “strade del vino”, percorsi dove riscoprire la ricchezza derivante dalla famosa bevanda di Bacco. L’Oltrepò Pavese è un’importante e famosa località italiana che riesce a conservare un’antica e profonda vocazione vitivinicola risalente a più di duemila anni.
La parola d’ordine è sicuramente vino. Senza mezzi termini perché l’obiettivo è assicurare una buona produzione del famoso nettare made in Italy che si afferma, quotidianamente, in diverse zone d’Italia. Il vino diventa per sua stessa natura il volano economico dell’Italia e consente di promuovere il patrimonio culturale del Paese. Sono diversi i territori dove si realizzano le famose “strade del vino”, percorsi dove riscoprire la ricchezza derivante dalla bevanda di Bacco. Tra tanti territori spicca l’Oltrepò Pavese, importante e famosa località italiana che riesce a conservare un’antica e profonda vocazione vitivinicola risalente a più di duemila anni. Si estende su una superficie di 1.098 chilometri quadrati, dei quali un terzo di pianura e due terzi di collina e montagna e, di questi, il 30% circa appartiene alla zona di produzione D.O.C., con 13.600 ettari a vigneto, pari al 13% circa dell’intera area dell’Oltrepò, di cui quasi l’80% produce uva D.O.C.. Sono molti e variamente assortiti i vini DOC dell’area: otto tipologie di vini rossi, due di rosati, undici di bianchi, due spumanti classici e otto spumanti Charmat, per un totale di quasi 45 milioni di bottiglie prodotte annualmente (di cui più di 11 milioni di Spumante), anche se quasi l’80% appartiene alle prime quattro tipologie per importanza: Bonarda, Barbera, Riesling Italico e Pinot Nero.
La proposta vinicola
Il ventaglio delle diverse tipologie di vino è variegato, si diversifica la tipologia dei prodotti vinicoli, con una netta influenza che contraddistingue la Strada del Vino di quella località. Nata ufficialmente nel 2002 con un’idea in gestazione da circa 40 anni, è ramificata e suddivisa in quattro sub-itinerari, costituendo sia il punto di forza, rappresentato da un’ampia offerta di vini e di paesaggi, sia il punto di debolezza, contraddistinto dalla mancanza di un elemento centrale e identificativo della Strada. L’Oltrepò Pavese è conosciuto come un territorio ad alta vocazione vinicola, anche se è difficile identificarlo con un vino in particolare, ad eccezione del Bonarda. Tutti gli altri, a cominciare dal Barbera e dal Pinot, sono largamente presenti in molte altre zone limitrofe anche se la località dell’Oltrepò comincia a soffrire la concorrenza: la vicina area dei Colli piacentini con il Gutturnio, con caratteristiche simili al Bonarda, oppure il Piemonte con il Barbera.
I punti di debolezza del territorio
Non dobbiamo dimenticare i due punti di debolezza dell’area: il mercato di collocazione delle produzioni è praticamente limitato alla sola Lombardia, che assorbe una quota tra l’80 e il 90% del vino venduto; mancano poli di attrazione turistica con la sola eccezione di Salice Terme, pur in presenza di un territorio caratterizzato da numerose risorse storiche, artistiche e paesaggistiche. A tutt’oggi non si può parlare di una zona caratterizzata da un vero e proprio enoturismo. Cantine sociali e aziende sono la meta di un numero elevato di visitatori ed acquirenti, soprattutto in primavera-estate o nel periodo prenatalizio (valutano a circa il 25/30% la produzione venduta direttamente), anche se è bene sottolineare che si è ancora al livello della “scampagnata domenicale” dell’abitante delle città con l’obiettivo di acquistare il vino, di mangiare nel ristorante tipico indicato dalla cantina e ripartire dritti a casa. Senza una curiosità culturale, tagliando completamente fuori dagli interessi ambientali, ciò che potrebbe far riscoprire luoghi e territori ricchi di storia. La piramide dell’enoturista rimane ulteriormente schiacciata: gli evoluti e i professionisti che frequentano la zona sembrano essere decisamente in minoranza. Raramente si assiste ad una esplorazione del territorio, alla fruizione delle risorse storiche e artistiche, al soggiorno negli agriturismi. A fronte di questa situazione il tessuto locale di produttori e operatori turistici, agrituristici e della ristorazione non mostra di avere la necessaria motivazione ad un mutamento della situazione: il benessere diffuso, la collocazione delle produzioni che non conosce flessioni, l’afflusso del fine settimana, producono un immobilismo soddisfatto, quasi sempre di qualità, che sembra non andare troppo oltre, nei programmi, alla proposizione dell’“Agnolotto & Bonarda Festival”. È forse un po’ troppo poco per un mercato esigente e sensibile al dinamismo propositivo di altre aree come quello dei ceti urbani lombardi.
Francesco Fravolini