La Vitiligine messa a nudo

“Sveliamo il vero volto della vitiligine” è il convegno che a Milano ha portato sul tavolo del dibattito temi caldi e talvolta poco approfonditi circa la malattia della vitiligine.

L’evento non ha illustrato solo una malattia di cui si parla poco, ma anche nuovi percorsi terapeutici che puntano a migliorare la qualità della vita dei pazienti, costretti ad affrontare ingenti costi per contrastare la patologia.

La vitiligine è una malattia autoimmune che colpisce la pelle, provocando l’insorgere di macchie più chiare rispetto al resto dell’incarnato. Per quanto l’incidenza sia bassa- appena l’1,6% della popolazione europea, lo 0,5-2% di quella globale- la visibilità della patologia rende difficile la vita di chi ne è affetto, portando anche a episodi depressivi gravi o moderati. A causare la vitiligine è un processo in cui il sistema immunitario attacca i melanociti, cellule della pelle che secernono la melanina, sostanza che dona alla cute il suo colorito. La morte cellulare fa sì che il paziente manifesti in varie zone del corpo macchie biancastre che spesso provocano forti disagi a chi ne è affetto.

“Il costo medio per pazienti è pari a 1.653 euro e il ricovero ospedaliero rappresenta il 50% della spesa” – spiega Mennini- “ma a incidere è anche la presenza di altre patologie. Se in loro assenza l’onere medio si assesta sui 1.389 euro, in caso di comorbidità si arriva fino a 5.058 Euro”. È quindi fondamentale ridurre la compresenza di patologie differenti. Il professor Mauro Picardo, coordinatore della task force europea dedicata al contrasto di questa malattia, specifica quelle più ricorrenti in associazione alla vitiligine. 

“Può presentarsi insieme al diabete autoimmune o all’artrite reumatoide. Lo sviluppo della patologia dipende in parte da una predisposizione genetica: il 25-30% dei pazienti ha una storia familiare di vitiligine”.

L’incidenza più alta si registra nella fascia tra i 20 e i 40 anni.

Per quanto negli ultimi anni ci sia stato uno sdoganamento della vitiligine, con casi di body positivity come quello della top model canadese di origini giamaicane Winnie Harlow, permane una certa diffidenza soprattutto se il paziente lavora a contatto con il pubblico.

“L’aspetto psicologico non deve essere sottovalutato, perché incide molto sulla qualità di vita”, afferma Ugo Viora, presidente dell’Associazione nazionale Amici per la pelle, che ha il compito di indirizzare i pazienti verso i dermatologi sul territorio per evitare l’auto cura. Tre persone su 5 lamentano problemi di autostima, mentre addirittura 9 su 10 lottano contro lo stigma della malattia.

 “Ciò che pesa di più sulla psiche è l’assenza di trattamenti specifici che fino a oggi migliorassero le condizioni di chi ne soffre. Per fortuna la ricerca sta cambiando lo scenario”, aggiunge Viora.

Ma quindi quali i nuovi trattamenti? “Innanzitutto c’è la fototerapia, che riattiva i melanociti, ma non è sempre efficace”, spiega Picardo. “Negli ultimi decenni, però, la ricerca ha prodotto risultati interessanti: negli Stati Uniti è già in commercio una crema che inibisce le Janus chinasi, per esempio. In Europa farmaci simili potrebbero essere approvati a inizio 2023 per essere poi commercializzati entro la fine dell’anno”.

I fattori che determinano la risposta alla terapia sono molti e comprendono la localizzazione delle lesioni, l’età del paziente e la durata della patologia. 

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